Questo è “giornalismo”?
La domanda non vuole essere retorica anche se ciò potrebbe essere indotto a pensare chi, con un po’ di buon senso e un minimo di cultura personale, vedesse per la prima volta oggidì la copertina che potete vedere qui.
Si sa che i titoli sono soggetti alla legge della sintesi estrema e a volte forzano gli stessi contenuti dei pezzi che aprono: non sempre ciò che un giornalista scrive corrisponde, per l’appunto, al primo impatto che il titolista vuole dare. Il pezzo fa cronaca o opinione. Il titolo fa strillonaggio, sensazionalismo, deve attirare e quindi deve avere in sé una espressione quasi genetica di provocazione. Ma c’è un limite.
C’è un limite tra il titolo che attrae e fa leggere il giornale, come quelli a doppio e triplo senso che ogni giorno fa “il manifesto” (nonché anche altre testate; ma diciamo che il quotidiano comunista brilla ancora come “eccellenza” in tal senso) e il titolo o il catenaccio che sono solo meri insulti, volgarità prive di qualunque attinenza con la funzione pedagogica che deve avere un quotidiano: abituare alla lettura, al ragionamento, stimolare criticamente le menti e non indurre all’odio, al disprezzo, all’anatema.
Se gli italiani pensano che questo è giornalismo, allora non può esservi spazio a commenti.
I nostri sarebbero considerati “pulci” ad un linguaggio “chiaro” e “normale”. Proprio questa normalità è il cuore della questione…
(m.s.)