La politica non può essere concepita soltanto come eterno scambio come è stata intesa, ad esempio, dal governo italiano allorquando con l’UE (oggi tanto vituperata) è stata barattata “l’esclusiva” italiana sugli sbarchi dei profughi nel Mediterraneo (governo Renzi 2014, missione Triton) per ottenere in cambio flessibilità sul deficit e sul debito pubblico nei successivi due anni.
Adesso l’autore del pasticcio (sempre tal Matteo Renzi), sull’onda dei sondaggi, scopre addirittura il “ aiutiamoli a casa loro”, antico copyright leghista, e denuncia il fiscal compact allineandosi, anche in questo caso, alla Lega Nord che fu l’unico partito a votare contro il provvedimento in Parlamento.
Siamo di fronte all’ennesimo esempio di instabilità nell’affermazione di proposizioni politiche che deriva, prima di tutta, dalla concezione esaustiva dell’acquisizione del potere e dalla totale assenza, nel sistema politico italiano, di una riflessione aggiornata sul tema del rapporto tra teoria e prassi.
Si pensi a personaggi del genere alle prese con decisioni fondamentali nella storia del nostro Paese come quelle, ad esempio, che segnarono l’avvio della Resistenza e la lotta clandestina contro il nazifascismo: decisioni assunte da persone che magari avevano passato decenni nelle carceri o in esilio.
La questione è comunque quella del retroterra culturale dell’agire politico. Esaminiamo allora alcuni passaggi a questo proposito.
La profonda trasformazione avvenuta all’interno dei soggetti politici organizzati, sia dal punto di vista strutturale, sia sotto l’aspetto degli obiettivi dell’ “agire politico” e il mutato rapporto con i movimenti sociali, propositivi di una sorta di “autorganizzazione” della rappresentanza delle nuove contraddizioni, ha lasciato un vuoto nella riflessione politica.
Un vuoto, per ora non ancora riempito da nessuno, sul piano dell’analisi e della capacità di proposizione che intendiamo, ponendoci al livello dell’ispirazione teorica, di vera e propria “cultura politica”.
Non riempie questo vuoto l’Università, laddove sia a livello di dibattito collettivo sia di espressione pubblicistica l’orientamento appare essere quello di seguire – piuttosto – una sorta di “modellistica” rivolta ai leader politici come da assumere secondo schema (pensiamo all’idea della “vocazione maggioritaria” che è nata, appunto, dall’adozione di uno schema non verificato assolutamente nel campo della complessa situazione politica italiana) senza riuscire a influenzare le coordinate di fondo dell’azione politica.
Non riempiono questo vuoto le Fondazioni cosiddette “culturali” che, al di là della qualità della loro produzione (spesso di buon livello), si muovono sul terreno del “supporto” alle correnti interne ai partiti e, in particolare, di semplice supporto al “leader” nella dominante competizione personalistica.
E’ necessario riprendere, anche dal basso e in una situazione periferica, il filo di una caratteristica fondamentale che componeva (fra le altre) la realtà dei soggetti politici di massa (ricordando che non erano i numeri, pur molto diversi degli attuali, a definire una “realtà di massa”: bensì la logica che presiedeva l’organizzazione, la struttura, la capacità di svolgere una funzione effettivamente pedagogica, di forte acculturazione all’interno e all’esterno del partito): quella appunto di funzionare da “promotore di cultura politica” sotto i diversi aspetti della riflessione teorica, della conoscenza normativa, della capacità di analisi sui fatti e di costruzione dell’agenda (quest’ultimo il vero punto effettivo di potere da esercitare da parte dei soggetti organizzati, sicuramente più forte di quello, pur importante delle presenze istituzionali di rappresentanza e/o di governo).
Nell’impossibilità di avanzare proposte di tipo organizzativo appare il caso però di verificare quali possono essere i campi di intervento posti proprio sul piano di una ripresa della capacità di interrogarsi su di un nuovo sistema di relazione tra la cultura e la politica.
Se ne vedono almeno tre:
Il primo riguarda una rivisitazione profonda dei temi della storia del pensiero politico (questa ci pare la lacuna più grave, il vuoto più grande lasciato dalla sparizione dei grandi partiti di massa e dalla loro sostituzione con gli attuali partiti – personali).
Non si tratta di disporre steccati ma partendo da filoni della storia e della realtà politica della sinistra, sia internazionale, sia italiana sarà comunque necessario ridefinire una identità.
Non è il caso di ricostruire qui un percorso ma sarà necessario recuperare le idee della prima modernità, il rapporto tra il soggetto e lo Stato, la “frustata” dell’illuminismo, la dialettica, il rapporto tra società e nazione.
Si dovranno recuperare le domande inevase del ‘900 novecento tra il tramonto dell’inveramento delle ideologie e la trasformazione della politica, giù, giù fino alle novità rappresentate dalle contraddizioni post-materialiste, la crisi dello Stato-Nazione, il processo di globalizzazione, lo spostamento nell’asse di fondo del rapporto tra rappresentanza e governabilità, l’imporsi – a tutti i livelli – della personalizzazione.
Nello stesso tempo dovranno essere recuperati i temi della scienza politica e del diritto costituzionale: le ragioni della necessità dello studio scientifico della politica, il ruolo dei parlamenti, dei governi, i partiti, i sistemi elettorali, la partecipazione politica. Tutti temi che non possono essere considerati “d’antan”, eliminati perché risolti dalla semplificazione mediatica e dalla velocizzazione delle scelte.
Egualmente non si potranno trascurare gli spunti offerti dall’evolversi dell’agenda politica, non tanto e non solo dal punto di vista dell’attualità corrente, ma anche dell’analisi approfondita attorno ai temi delle nuove fratture sociali, della logica che presiede le nuove idee aggregative,all’esame delle diverse realtà associative che, come si accennava all’inizio, tendono all’autorganizzazione attorno ad un’inedita dislocazione del potere.
Un’operazione tanto più importante e urgente proprio in questo momento dominato, sul piano internazionale, da quella che è stata denominato “l’età del caos” e dai pericoli di all’allargamento dei fronti di conflitto, mentre impallidisce quello che per molti fu il “riferimento europeo” e si stanno ristabilendo gerarchie planetarie sulla base di una forte spinta di ritorno conservatore com’è stato nel caso dell’elezione del nuovo Presidente degli Stati Uniti.
Sul piano interno è necessario fare i conti con la fase aperta dall’esito referendario del 4 Dicembre che ha sbarrato la strada alla costruzione di un regime all’interno del quale si stava cercando di realizzare un ulteriore passaggio di svolta autoritaria attraverso il combinato disposto tra riforme costituzionali e legge elettorale.
L’obiettivo di fondo dovrebbe essere quello della politica che recupera i criteri della legittimazione sociale, nell’idea di una rappresentanza quale fattore fondamentale dei processi di inclusione.
Un programma, così elencato che ci fa immediatamente pensare alle nostre inadeguatezza: un programma, però, che indica un cammino.
Un cammino che siamo convinti valga la pena di percorrere, non certo in forma isolata, ma costruendo interesse collettivo, capacità di dibattito, costanza di un’iniziativa tale da produrre effettivi momenti di crescita nella conoscenza, nella consapevolezza, nella realtà di una proposta rivolta verso il futuro.
Soltanto così sarà possibile sviluppare la forza di una visione realistica delle contraddizioni e dei possibili sbocchi.
L’auspicio dovrebbe essere quello di promuovere una “criticità diffusa” quale espressione di una visione del cambiamento non ridotta nell’ambito della profezia ma sviluppata nell’ambito concreto dell’abolizione dello stato di cose presenti.
La base di pensiero da ricercare, dunque, per muovere l’azione di una soggettività politica operante tutti i giorni dentro e in riferimento con le fatiche quotidiane dell’esistenza.
FRANCO ASTENGO
9 luglio 2017
foto tratta da Pixabay