L’alternativa si pratica ovunque o non si pratica affatto. Essere alternativi in Italia e non esserlo in Sicilia è quanto meno un problema di definizione, se non altro, del concetto politico-programmatico di “alternativa” che vogliamo incarnare e rappresentare.
Non si possono fare alleanze con chi sostiene il governo Gentiloni, con chi vuole ricostruire un nuovo “Ulivo”, con chi sogna di agganciare, per vie traverse, parti del PD per tornare a governare: dal centro e un pochino da sinistra.
La vera alternativa è vera se è alternativa, a tutto ciò che oggi c’è in campo. Se è alternativa alle tre destre che si contendono il potere politico e, quindi, il governo del Paese: PD, Cinquestelle e classica destra berlusconiano-salviniana.
A tutto ciò Rifondazione Comunista deve essere alternativa: senza se e senza ma. Quindi, chi ipotizza percorsi che guardano al passato, alle teorie languide e peregrine della scelta del “meno peggio”, del “salvataggio dal pericolo delle destre” (che suona più come una beffa che come una sincera intenzione, per aver prodotto lo stato attuale di cose col deperimento progressivo di identità e confini politici ben determinati da programmi altrettanto precisi) non può essere per noi un alleato, un costruttore comune della sinistra di alternativa.
E’ giunto il momento di farla finita, una volta per tutte, con queste nostalgie pericolose e di rompere col Giano Bifronte cui siamo stati abituati per lungo tempo a fare i conti. Noi non abbiamo mai avuto due facce da mostrare ma soltanto una. Abbiamo rischiato di perdere quell’unica faccia che avevamo proprio per colpa di chi oggi tentenna, traccheggia e rimanda la costruzione di quel polo della sinistra antiliberista di cui vi è invece tanto, troppo bisogno.
(m.s.)
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