Alla fine il Comune di Torino e la Regione Piemonte hanno chiesto la rescissione del contratto di Altaforte per il Salone del Libro, che questa mattina aprirà i propri battenti al Lingotto. La decisione di chiedere l’esclusione della casa editrice vicina a CasaPound è stata presa nella serata di ieri, al culmine di una giornata tesissima di riunioni alla ricerca della via d’uscita da una situazione che era diventata insostenibile per tutti quanti.
La spinta definitiva è arrivata da Halina Biernbaum, scrittrice, traduttrice e poetessa ebrea, nata a Varsavia nel 1929, sopravvissuta al campo di sterminio di Auschwitz e oggi residente in Israele. Biernbaum aveva fatto sapere che, in caso di partecipazione dei neofascisti al Lingotto, lei non sarebbe restata a guardare, avrebbe manifestato il proprio dissenso e non avrebbe messo piede dentro al Salone. «Se ospiteranno i neofascisti – ha detto la scrittrice in un’intervista – i vertici del Salone sono da considerare come complici».
È stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso istituzionale. «È necessario tutelare il Salone del Libro, la sua immagine, la sua impronta democratica e il sereno svolgimento di una manifestazione seguita da molte decine di migliaia di persone», sostengono la sindaca Chiara Appendino e il governatore Sergio Chiamparino. La richiesta è stata inviata al Circolo dei lettori e al Comitato d’indirizzo del Salone, organizzatori dell’evento, che nella notte hanno sciolto le riserve. Intanto Zerocalcare ha già promesso che allora ci sarà. Altaforte, dal canto suo, ha già annunciato che farà causa contro questa decisione.
Anche il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha sostanzialmente scaricato CasaPound dalla tribuna di Otto e mezzo su La 7. Il leader leghista ha prima negato di conoscere Francesco Polacchi (il titolare di Altaforte), poi si è difeso dall’accusa di aver pubblicato un libro con l’editore di CasaPound sostenendo di aver semplicemente rilasciato un’intervista e, infine, ha detto che «è giusto sgomberare l’edificio occupato da Casapound» a Roma.
Una svolta clamorosa se si pensa che, ieri mattina, la soluzione escogitata dalla Prefettura per salvare capra e cavoli era stata quella di spostare lo stand di Altaforte dallo Spazio Ovale – quello centrale e più prestigioso, dove sono ospitati i marchi editoriali più importanti e la Rai – al più periferico terzo padiglione, tra il ministero della Difesa e il baracchino che cucina hamburger e frigge patatine. Una scelta che aveva lasciato perplessi in molti, perché non risolveva in alcun modo il problema dell’imbarazzante presenza al Lingotto e perché era sembrato soltanto un modo per allontanare i rischi dal palcoscenico centrale, un po’ come mettere la polvere sotto al tappeto. Oggi, comunque, il leader di Casapound Simone Di Stefano sarà a Torino per un comizio elettorale e un suo passaggio al Salone veniva dato sostanzialmente per scontato.
Sempre in mattinata, Appendino (che insieme a Chiamparino martedì aveva denunciato l’editore Francesco Polacchi per apologia di fascismo) aveva rilasciato dichiarazioni che sapevano di resa. «La politica non può decidere di escludere qualcuno che regolarmente ha firmato un contratto e che oggi sostanzialmente è a tutti gli effetti soggetto che può partecipare – aveva detto -. La politica però può fare un esposto per rimarcare che questi valori non appartengono alla città, che è antifascista, non appartengono alla comunità e al Salone del libro. La magistratura, che è il soggetto terzo che dovrà valutare, ci dirà se è effettivamente apologia di fascismo.
Dal nostro punto di vista lo è, ma non tocca a noi decidere». L’unico effetto sortito dall’offensiva istituzionale è stata l’iscrizione nel registro degli indagati di Polacchi. Si tratta tuttavia di un atto dovuto e gli esiti giudiziari della vicenda sono quantomeno incerti.
È così che Comune e Regione provano anche a chiudere una discussione estenuante che per giorni ha lacerato il mondo degli scrittori e degli editori, tra chi ha annullato la propria presenza a Torino (Wu Ming, Francesca Mannocchi, Zerocalcare, Roberto Piumini e altri) e chi ha scelto di andare comunque per non lasciare il campo libero ai neofascisti. Nell’occhio del ciclone ci era finita anche la direzione del Salone, con Nicola Lagioia che aveva (vanamente) provato a spiegare che non era lui ad assegnare gli stand e che, comunque, né Altaforte, né Salvini avevano trovato spazio tra gli incontri nel programma ufficiale della rassegna.
MARIO DI VITO
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