Evidentemente sul ddl Casellati sul premierato elettivo, in Commissione Affari costituzionali del Senato non si ragiona più in termini di riforme costituzionali, bensì in termini di accordi politici. Il problema non è più la cesellatura delle parole, bensì che si proceda, e che i contraenti – Fdi e Lega – siano soddisfatti. Questa premessa è necessaria per capire quanto accaduto ieri in Commissione, con l’approvazione di un emendamento sui poteri di scioglimento delle Camere da parte del premier eletto.

La Commissione sta esaminando e votando i sub-emendamenti all’emendamento del governo che riscrive l’articolo 4 del ddl Casellati, quello che riguarda le crisi di governo. La vexata quaestio tra Fdi e Lega riguardava l’ampiezza dei poteri del premier eletto in caso di crisi politica. Se egli viene sfiduciato con una «mozione motivata», si andrebbe automaticamente alle urne. Poi si entrava nelle sabbie mobili. Il testo infatti dava la possibilità al premier di chiedere al Capo dello Stato il voto anticipato se presentava «dimissioni volontarie».

Un ampio margine di manovra, dunque, in modo da poter gestire crisi extraparlamentari. E infatti l’emendamento di Casellati, oltre alla possibilità di chiedere elezioni anticipate dava al premier eletto la chance di formare un nuovo governo con una maggioranza diversa da quella che lo aveva sostenuto nelle urne, oppure di passare la mano – la staffetta – a un esponente della propria maggioranza. Tutte cose che piacciono alla premier Meloni. Tuttavia Salvini aveva ottenuto il silenzio su un punto essenziale: il premier non ottiene la fiducia da lui posta su un atto del governo. In questo caso si tratterebbe di dimissioni obbligatorie e non volontarie, dunque si darebbero al junior partner della maggioranza margini per i giochi di Palazzo.

Tale silenzio era stato osservato da costituzionalisti e opposizioni, sollecitando un chiarimento, ma la ministra Casellati aveva sempre detto che dimissioni volontarie sono anche quelle del premier sfiduciato. In barba alla prassi costituzionale consolidata: da ultimo le dimissioni di Draghi il 22 luglio 2020 dopo che Fi e Lega e Movimento 5 Stelle gli avevano negato la fiducia posta su una risoluzione. Interpretazioni su cui la Lega aveva taciuto, andandole bene l’ambiguità del testo.

Nei giorni scorsi sia Casellati che il relatore Balboni avevano dato parere negativo a tutti i sub-emendamenti delle opposizioni, compreso uno di Avs, che toglieva la parola «volontarie» dal testo: una proposta pensata per far emergere le contraddizioni tra i partiti della maggioranza. Che però non sono emerse affatto. Balboni e Casellati hanno dato parere favorevole ieri all’emendamento di Peppe De Cristofaro, capogruppo di Avs, che è stato approvato all’unanimità.

L’improvviso e repentino cambio della Lega non è stato spiegato, né ce ne è bisogno. O meglio risiede nell’accelerazione dell’iter del ddl sull’Autonomia differenziata alla Camera, dove in Commissione Affari costituzionali il testo è sceso dall’accelerato su cui viaggiava per salire su un treno ad Alta velocità.

KASPAR HAUSER

da il manifesto.it

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