Sul nazifascismo ecco la memoria alla vicentina

Ecco un altro Signor Nessuno giunto ai disonori della cronaca, stavolta a Vicenza, comune in mano ad una Giunta di destra (Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia e liste civiche)....
Vicenza

Ecco un altro Signor Nessuno giunto ai disonori della cronaca, stavolta a Vicenza, comune in mano ad una Giunta di destra (Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia e liste civiche). Il cui vice-sindaco, Matteo Tosetto (professione immobiliarista), ha avuto il becco di raccontare in una conferenza stampa le motivazioni con cui l’Amministrazione della città ha deciso di cambiare una lapide commemorativa di uno dei peggiori eccidi nazisti in Italia.

Ebbene, a leggerle c’è davvero da rimanere di stucco, davanti a tanta ignoranza, tanta protervia e tanta stupida insolenza. Dunque lo zelante amministratore, ha spiegato che l’intervento lapideo relativo ai fatti del 9 novembre 1944, è stata fatto in nome della «memoria condivisa». Si è trattato di una semplice «correzione» del testo della lapide, dove sono scomparse due parole significative: «nazifascisti», ossia gli autori della strage (sostituiti da un pudico «truppe di occupazione»!), e «Resistenza», eliminata come parola eretica ed evitanda, sostituita con quella che è apparsa più tollerabile (a mala pena, ritengo) di «Costituzione». Ma avremmo oggi l’una, la Carta costituzionale, senza ciò che chiamiamo «Resistenza», ossia l’azione di uomini e donne tra il ’43 e il 45, si batterono contro i nazifascisti?

Il sindaco, Vincenzo Rucco, confermando le parole del suo vice, ha aggiunto che l’operazione è stata compiuta «nel rispetto di tutte le vittime», anche quelle dell’altra parte, insomma. Non ha spiegato però quali siano state le vittime dell’altra parte, e non avrebbe potuto in quanto non vi furono. Quel 9 novembre un’azione partigiana aveva fatto saltare un ponte sulla ferrovia che serviva al trasporto di truppe germaniche: un attentato utile alla causa della Resistenza, che non produsse vittima alcuna, tra tedeschi e repubblichini, ma ne scatenò la vendetta: dieci giovani e giovinetti, partigiani o sospetti partigiani, detenuti nel carcere padovano, furono fucilati per rappresaglia.

Atteggiandosi a filosofo liberale, il succitato vice-sindaco, venditore di case, ha sentenziato: «Non ci accapigliamo su chi abbia più titolo per parlare di libertà, che invece ha un valore assoluto». Dimenticando che la libertà ce l’hanno data proprio quei dieci ragazzi, e le centinaia di migliaia di italiani che come loro hanno gettato le loro vite su di un piatto della bilancia della storia, coscienti dei rischi che correvano, mentre sull’altro c’era appunto il valore della libertà. Che evidentemente a quegli «sconsiderati» doveva apparire un bene più importante delle stesse loro vite. E dall’altra parte, accanto alle «truppe di occupazione» operavano, sovente coprendosi il volto onde evitare che i compaesani li riconoscessero, gli adepti della Rsi, fascisti italiani che agivano di concerto con i tedeschi nazisti.

Oggi, Vicenza, il cui territorio molto ha dato alla lotta di Liberazione, con un gesto maramaldesco, ad opera della maggioranza che guida il Comune, dà un colpo di spugna sui fatti, sulle vittime, sui carnefici, tutto annegando nella ineffabile memoria condivisa. I guasti prodotti dal revisionismo storiografico, precipitato via via dai De Felice ai Pansa, in un processo inquietante, si stanno manifestando giorno dopo giorno, ovunque. Abbiamo commentato su queste pagine, solo pochi giorni fa, la proposta di sostituire al 25 Aprile (e al 2 Giugno), il 4 Novembre, una ricorrenza «nazionale» che sarebbe appunto da considerare «condivisa», mentre quelle date che hanno segnato le tappe della storia della Nuova Italia, sarebbero «divisive».

I segnali in questa stessa direzione sono innumerevoli. Oltre all’Anpi (da cui è arrivata una immediata reazione in sede locale: attendiamo quella nazionale), il mondo intellettuale, in particolare la comunità degli storici, non ha nulla da obiettare? Non siamo forse giunti ai segnali di una inaccettabile «riscrittura» della storia?

ANGELO D’ORSI

da il manifesto.it

foto tratta da Pixabay

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