La discussione sui compromessi è il perno del dibattito, sciatto, confuso, detestabile, a cui ci fa assistere la preparazione del Congresso del Partito Socialista. Gli interlocutori portano, a parte quelli che vi aggiungono la malafede, tutto il peso spaventevole della loro incompetenza e della disintegrazione di coscienza che è propria del loro Partito.
Abbiamo, nell’Avanti!, vista una polemichetta Lazzari-Genosse. Lazzari ha creduto che l’articolo del secondo sul “Serrati russo”, che metteva in rilievo il famoso “opportunismo” di Lenin, fosse una risposta al discorso col quale, nella sezione milanese, egli aveva difesa la sua vecchia linea intransigente, contro la collaborazione di classe e i compromessi del socialismo con la borghesia.
In realtà se anche l’articolo del Genosse aveva altri scopi, è divenuto comunissimo l’uso di certi precedenti e di certe formule tattiche indicate da Lenin per combattere, da una parte l’opposizione di certi social-democratici italiani all’indirizzo collaborazionista, dall’altra le rampogne comuniste, nostra e dell’Internazionale, alle magagne della socialdemocrazia italica patteggiatrice coi fascisti e responsabile di tutta una politica che nella terminologia delle discussioni socialiste non si chiama ancora “collaborazione” – nella nostra si chiama da tempo disfattismo e tradimento.
Genosse e Lazzari non intendono, nel polemizzare, una distinzione marxisticamente elementare indispensabile per orientarsi nella questione. Vogliamo provare ad aiutarli. Vogliamo cioè spiegare il valore teorico e tattico del punto di vista di Lenin nel modo più semplice, a prescindere dal più alto didattico tattico, che noi, con la sinistra dell’Internazionale, fa dissentire anche da lui.
Lazzari azzarda la distinzione che i “compromessi” che Lenin cita, giustifica e propone sono compromessi non con partiti borghesi, ma con partiti semiproletari e piccolo borghesi, infine che essi si svolgono nel periodo “esecutivo” della rivoluzione proletaria, nel quale è necessaria una tattica diversa da quella del periodo preparatorio. E Genosse risponde trionfante: mai no!
Lenin ammette di aver appoggiato i liberali borghesi in Russia fin dal 1901 e 1902 e così dopo il 1905, delineando la complessa tattica di sostenere i contadini contro la borghesia liberale, e, al tempo stesso, questa contro il regime zarista.
E allora? Lenin è per la collaborazione colla borghesia? Il programma comunista non esclude i compromessi, Serrati ha diritto di sostenere con questa asserzione le sue posizioni contro Lenin e Turati le sue posizioni contro Serrati?
Adagio signori.
Vi è alla base di tutto quanto Lenin stabilisce e gli altri citano un criterio, che anche nel maximum di elasticità con cui crede si possa manovrare il grande compagno nostro, resta fermissimo caposaldo di principio.
Si tratta di vedere se i compromessi e gli accordi che si intraprendono sono con il potere costituito dello Stato ed i partiti che direttamente lo gestiscono, o con partiti che, sia pure con programma non comunista, sono per il rovesciamento violento, illegale, rivoluzionario del regime vigente dello Stato.
La distinzione dei due periodi che Lazzari fa è indubbiamente accettabile. Ma va completata con il concetto che il compromesso nel periodo di attuazione rivoluzionaria si effettui sul terreno e coll’obbiettivo di muovere con la violenza contro gli argomenti costituiti. Se altri partiti, se pure con assai diversa finalità, minore chiarezza e decisione del partito comunista, sono per dare uno scrollo al regime costituito, il partito comunista può vedere se sia il caso di una alleanza per spingere gli eventi verso le sue soluzioni.
Il partito della borghesia liberale in Russia prima della rivoluzione, come in ogni paese sotto gli antichi regimi assolutisti, era un partito che tendeva al rovesciamento dello Stato costituito, e non poteva tendervi che con mezzi illegali e violenti non essendo ancora la bella invenzione della sovranità popolare. Si concepiva quindi un’alleanza con questo: non altra alleanza ammette Marx nel capitolo del Manifesto dei Comunisti, ricordato da Lazzari e nelle note circolari tattiche della I Internazionale, Lenin e Marx presuppongono che appena l’appoggio del proletariato alla borghesia abbia determinato il crollo del vecchio regime, si inizi la lotta contro il nuovo regime statale democratico-borghese, che tende a giungere agli stessi mezzi di azione illegale e violenti per dar luogo alla dittatura proletaria.
Accordi quindi con l’obbiettivo d’accelerare il momento dell’attacco rivoluzionario allo Stato costituito, ecco ciò che Lenin ammette.
Nel regime normale e consolidato della democrazia parlamentare borghese, nel periodo di preparazione ideologica, quando non sono prevedibili a breve scadenza spostamenti radicali dell’asse del potere costituito, Lenin non può che essere con la tattica sostenuta da tanti anni da noi e da Lazzari: intransigenza assoluta.
Ma Lazzari, per essere sullo stesso terreno di Lenin, e non chiudersi nelle spire di una contraddizione che gli toglie il modo di confutare gli opportunisti del centrismo italiano dovrebbe fare un passo…che quelli gli rinfacciano di aver fatto prima di lui e senza di lui.
La tattica della intransigenza marxista nel periodo della propaganda a quale tattica da luogo nel periodo dell’azione? Rincula essa sulla ammissione dei compromessi, così senz’altro? Lenin non è pazzo, e ciò non ha mai detto. Ma questa tattica – secondo lui – vede sotto nuova luce la eventualità di certi accordi, solo perché si è portata con grande passo innanzi su un nuovo terreno di manovra delle forze proletarie: quello dell’attacco, appunto, rivoluzionario, violento, illegale, al potere borghese costituito.
Allora il partito rivoluzionario di classe si guarda attorno, e se trova un altro partito che è contro la legalità, tratta con lui. Di qui il compromesso… alla Lenin. Per conto nostro pensiamo che nella situazione ben delineata dei nostri paesi a regime parlamentare questo sguardo circolare non può che constatare l’assenza di ogni possibile alleato.
Coerente a tutto ciò, Lenin dice: Nessun compromesso coi socialdemocratici, che sono un partito legale e che negano la conquista rivoluzionaria del potere. Nel periodo risolutivo costoro sono alleati della borghesia.
Ma Lazzari vuole in questo periodo conservarla la classica intransigenza, senza altro, ed ha ragione da vendere quando dimostra assurdo fare compromessi elettorali e ministeriali con la borghesia, coi poteri costituiti. Ma si perde nelle nebbie più spesse perché rifiuta quella conclusione rivoluzionaria che è alla base del pensiero della Terza Internazionale. Questo intendemmo noi tutti quando a Bologna si dichiarò “un vecchio democratico”, ossia incapace di accettare un regime proletario basato sulla negazione della democrazia, raggiunto per vie illegali.
Lazzari vorrebbe, immobile nella sua intransigenza, attendere che senza urti violenti, la classica azione del partito proletario, “indipendente da tutti gli altri partiti”, gli recasse maturo il frutto della presa del potere. Egli non vede che in questa sua immobilità non è contenuta alcuna formula risolutiva della crisi che tormenta il movimento proletario: non è più l’epoca della predicazione, ma quella del moto, dell’azione, della lotta – in un certo senso Lenin ha pure ragione, muovendosi si hanno dei contatti, con amici, nemici, neutri, ed a ogni momento cambia lo schieramento dei primi, dei secondi, dei terzi. Guai a lasciarsi chiudere nel fatale errore di non fare il passo decisivo, e non dire: è l’ora della lotta contro il potere legale, per la dittatura proletaria! Allora la formula di Lenin: il moto, anche se attraverso “compromessi”, verso la realizzazione rivoluzionaria, si baratra fatalmente nel compromesso senza obiettivo rivoluzionario, ossia nel compromesso coll’ordine costituito, con la borghesia.
L’immobile intransigenza del buon Lazzari è collaborazione. Forse peggiore dell’aperta collaborazione turatiana. Per uscire dalla polemica col Genosse egli dovrebbe porsi sul terreno dei principi comunisti: uso della violenza, dittatura rivoluzionaria del proletariato. Altrimenti la sua figura, come a Mosca, servirà a coprire il gioco dei Serrati…. italiani.
La stessa confutazione vale per uno dei soliti insidiosi scampoli, che paragona il patto di pacificazione coi fascisti alle proposte che Radek faceva al momento dei moti spartachiani del 1919. Radek dice: Io sarei stato per la cessazione dell’azione limitandosi ad una protesta contro la destituzione di Eichorn, ed entrare in trattative col Governo allo scopo di cessare la lotta.
Nella settimana rossa del 1919 il Governo costituito da pochi giorni in Germania era il prodotto della rivoluzione, ne facevano parte socialdemocratici e indipendenti, fino al giorno prima compagni di partito degli spartachiani; la rottura tra questi ed il Governo “rivoluzionario” scoppiò appunto per la destituzione del comunista Eichorn, nominato da quel Governo questore di Berlino. Si era in periodo di piena instabilità statale: Fino a ieri si era collaborato coi repubblicani-socialisti a rovesciare il Kaiserismo. Radek opina che si giudicò erroneamente venuto il momento di romperla col neo regime per passare alla lotta aperta per la dittatura. Opinione di Radek. Ma anch’essa chiaramente imposta sul comune terreno dei principi comunisti, in modo che è ridicolissimo invocarla per il caso in cui, con un governo stabilmente costituito da tempo, con i suoi lanzichenecchi, esponenti della sua difesa contro rivoluzionaria, un partito che si dice rivoluzionario, stipula l’accordo di non combattere, non solo, ma di riconosce quel Governo come l’unico gerente del “mantenimento dell’ordine” contro chiunque lo turbi!
Andare verso i Governo dei ministri del re d’Italia, per una feluca o per l’accordo coi fascisti poco monta, sta al di fuori di ogni valutazione tattica, delle opere di Lenin o dei dibattiti comunisti: è competenza del tribunale rivoluzionario; solo l’istituzione di questo potrà troncare un dibattito così ipocritamente vile.
AMADEO BORDIGA
da l'”Ordine nuovo” del 12 settembre 1921
tratto da Biblioteca multimediale marxistafoto tratta da Wikipedia
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