Il governo Draghi soffre sul fianco sinistro. Non solo sul dossier Recovery che fa infuriare un vasto fronte di associazioni (da Legambiente a Greenpeace, Wwf, Arci, Acli e Libera) per l’assenza di una adeguata partecipazione e dibattito pubblico sulle opere da realizzare. Ma anche sul delicato dossier dei diritti umani.
Ieri il premier ha detto che la cittadinanza italiana a Patrick Zaki «è un’iniziativa parlamentare, e il governo non è coinvolto al momento». Parole che – dopo l’ok del Senato alla richiesta di cittadinanza- hanno suscitato una ridda di critiche, soprattutto da Pd, M5S e sinistra, ma non solo. Persino il forzista Lucio Malan ha sentito il bisogno di ricordare al premier «che il governo, presente nell’aula del Senato, aveva dato parere favorevole alla richiesta che ha un rilevante significato simbolico».
«Il premier ha detto una sciocchezza», taglia corto Nicola Fratoianni. «In Aula il governo si è impegnato, se si tira indietro dopo due giorni è un brutto segnale francamente», commenta Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia. «È una doccia fredda, sono sono veramente imbufalito: il Parlamento ha dato un mandato preciso e il governo è obbligato a dare seguito. Mi auguro che sia stata una frase detta così, magari sbagliando o non concentrandosi». Parole gravissime dal premier», tuona Mattia Santori delle Sardine.
«Sono sicuro che il governo farà la sua parte con determinazione nel rispetto degli impegni presi con il Parlamento», dice Francesco Verducci del Pd. «La legge affida l’iniziativa sulla cittadinanza al governo. Se non si intende dar seguito all’indirizzo del Senato abbiamo un problema», gli fa eco Tommaso Nannicini. «Spiace che il presidente Draghi sembri prendere le distanze dalla vicenda di Patrick Zaki e dal Parlamento», attacca Michela Montevecchi del M5S.
Da Fratelli d’Italia (che si è astenuta in aula) Alberto Balboni ribadisce che «la cittadinanza rischia di ottenere l’effetto contrario e di mettere Zaki ancora più in difficoltà e irrigidire le autorità egiziane. Forse Draghi l’ha capito bene e giustamente ora ne prende le distanze».
Da sinistra critiche a Palazzo Chigi anche sul Recovery. Le associazioni hanno scritto al premier per lamentare che «l’informazione e la partecipazione ai processi decisionali per all’approvazione dei progetti non è garantita».«L’errore – spiegano – sta nel pensare che sia la partecipazione a rallentare l’iter delle opere, quando piuttosto è il contrario. I progetti fatti bene hanno tutto da guadagnare da un confronto pubblico che permetta di spiegare le scelte, di rispondere a dubbi e domande, di approfondire gli aspetti ambientali e paesaggistici».
Sul Recovery protesta Fratoianni: «La scadenza è fissata al 30 aprile: a pochi giorni dalla sua consegna nessuno conosce davvero il piano riscritto dai tecnici del governo Draghi. Non lo conosce il Parlamento, né le forze economiche e sociali. Se anche ci sarà un rapido giro di incontri, nessun contributo reale e sostanziale potrà venire in così poco tempo».
Ieri il premier ha ricevuto la delegazione del Pd guidata da Enrico Letta. «Abbiamo parlato delle priorità del Pnrr e delle nostre richieste sul decreto imprese» , spiega la capogruppo Simona Malpezzi. «Le parole d’ordine sono: liquidità, abbattimento di costi fissi e un ricalcolo dei contributi di sostegno sull’ultimo trimestre di fatturato. Per il Pnrr abbiamo chiesto una sguardo particolare, quasi di condizionalità, per donne e giovani» che sono «una delle categorie che sofferto di più durante la pandemia» e per il sud.
Sul Mezzogiorno infatti i dem ritengono insufficienti i fondi stanziati nelle bozze circolate, peggio ancora su scuola e asili. Ci sono capitoli come abbandono scolastico e edilizia su cui le risorse vengono giudicate «largamente insufficienti». Così come viene chiesto al governo di aumentare da 3,6 a 5 i miliardi per gli asili nido .
«Il governo oggi ha fatto passi significativi», ha detto in ogni caso Letta all’uscita. «È importante dare un segnale di fiducia al Paese con le riaperture e che accanto ci sia il decreto imprese, lavoro e professioni, per aiutare chi stando chiuso garantisce la salute di tutti noi».
Tra i dem c’è la consapevolezza del rischio che il Recovery targato Draghi sconti un eccesso di accentramento nelle mani del premier e dei ministri tecnici, assai più rilevante di quello che veniva imputato a Conte. Per questo Andrea Orlando continua a insistere chiedendo «più collegialità». Letta oggi all’assemblea del Pd ribadirà che «quello di Draghi è il nostro governo». Ma insisterà anche su ius soli e legge antiomofobia, e sulla difesa di Speranza: «Salvini le smetta di cercare capri espiatori».
ANDREA CARUGATI
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