La storia della Resistenza e la storia dell’Italia partigiana possono anche apparentemente coincidere, ma è bene operare una distinzione.
La prima fu quel grande movimento di organizzazione sociale, civile e militare che, seconda in Europa soltanto a quella jugoslava per numero e per iniziative intraprese, prese corpo già ai primordi della dittatura di Mussolini, in forma di opposizione anche parlamentare e poi, certamente, clandestina e che riuscì, molto dopo, con gli stravolgimenti bellici, a scalzare il dominio nazifascista dalla maggior parte del territorio dell’Italia settentrionale e centrale nel biennio tra il 1943 e il 1945.
La seconda è invece la storia del fenomeno del partigianato, che si struttura durante la guerra, che fa il suo ingresso nella storia delle “due Italie” (dal Regno del Sud sabaudo alla Repubblica Sociale Italiana nel resto del Paese) che abbraccia l’intero Paese e che, in questo significato, comprende tutte le azioni che mirarono a liberarsi dall’invasore e dalla tirannide fascista dopo il 25 luglio e l’8 settembre del fatidico 1943.
L’anno della svolta, almeno per le sorti della Seconda guerra mondiale, è, a dire il vero, il 1942: il fronte, per i paesi dell’Asse Roma – Berlino – Tokio (RO.BER.TO) retrocede vistosamente in Africa quando l'”Operazione Torch” si realizza nella sua pienezza e attua i piani prestabiliti di liberazione di tutto il nordafrica dalla presenza tedesca ed italiana; la logorante disfatta di Stalingrado fa della VI armata di von Paulus un reggimento, riducendola al punto da non permettere all’appena nominato feldmaresciallo di resistere fino all’ultimo uomo, ma arrendendosi ai sovietici. Ed, infine, per la prima volta dall’inizio del conflitto, il potente Impero del Sol Levante registra le sue prime sconfitte nella vastità dell’Oceano Pacifico.
Le armate del Duce e del Führer sono impantanate nell’inverno più duro. Se il ’42 è l’anno in cui la guerra prende tutta un’altra piega e l’invincibilità della Werhmacht è un sogno infranto, un dogma caduto in disgrazia, un tabù letteralmente superato dai fatti, l’anno successivo è quello in cui le tante “resistenze” europee si organizzano per iniziare a dare la spallata finale al Terzo Reich e, nello specifico in Italia, anche a ciò che di lugubre e funereo, di criminale e orrorifico rimane del fascismo mussoliniano.
Giorgio Bocca è protagonista di quegli accadimenti, è giornalista e storico al tempo stesso, è cronista e partigiano in eguale misura e li racconta con una maestria di descrizioni, di scrittura che scorre per il lettore tutti gli avvenimenti che si susseguono e che, per la loro complessità, ricchezza di luoghi, nomi, novità che si accavallano e che lascerebbero interdetti i più attenti scrutatori del periodo in esame.
La sua “Storia dell’Italia partigiana” (Oscar Mondadori fino al 2011, poi Feltrinelli) unisce le tante storie italiane ed europee che si sono prodotte in una multidimensionalità non evitabile: l’avvento del fascismo, l’opposizione degli anni ’20 e ’30, la mutazione totalitaria dello Stato liberale in regime a partito unico, la dittatura personale di Mussolini con attorno una serie di reggenti anche molto diversi fra loro (basti pensare alle figure di Italo Balbo e di Alessandro Pavolini, seppure nell’arco, appunto, di un ventennio) e che hanno disegnato le sorti del regime.
Soprattutto dopo il 1938, dopo le scelte di politica interna e di politica estera che hanno fatto dell’Italia, oltre che l’antesignana della nuova devastante forma di potere e di Stato rappresentata dal totalitarismo fascista, l’alleata principe della Germania di Adolf Hitler.
Giorgio Bocca inizia a scrivere questa sua storia dell’Italia che resiste in tanti modi e in tempi diversi, nel 1966 e la terminerà nel 1995, nel pieno dell’esplosione politica del berlusconismo, quando la destra nazionale avvia la sua catarsi a Fiuggi, prova a imbellettarsi di nuovo e moderno, condannando le leggi razziali ma mai veramente abiurando del tutto quel passato. La difficoltà maggiore, quella insuperabile, almeno fino ad oggi, è il far ritenere, e quindi affermare, a coloro che sono stati post-fascisti di sentirsi ed essere finalmente antifascisti.
Anche per chi è figlio di altri tempi, per chi è nato negli anni ’60 e ’70 ed oggi dirige partiti e governi di destra, quel confine ideale, politico, morale e cultural-sociale da superare è molto, molto difficile,
Bocca, nel raccontarci, per filo e per segno, gran parte della storia del partigianato italiano, in una summa che – va da sé – è una riepilogazione delle tante piccole e grandi storie che vi stanno dentro, come matrioske o scatole cinesi, si pone molte domande in questa direzione: la traccia ectoplasmatica, la presenza impalpabile eppure percettibile del richiamo alla “memoria” e alla “storia condivisa“, sono parte di un confronto critico cui il grande giornalista non vuole sottrarsi.
Per questo ne tratta tanto nell’introduzione quanto nel prologo, quando tocca tirare qualche somma, cercare di fare una sorta di bilancio multilaterale e multidisciplinare sulla Resistenza, sulla guerra, sul regime e sulla nuova Italia che si va creando dopo il 25 aprile 1945.
Di una cosa si dice certo Bocca: senza lo studio, senza la conoscenza dettagliata di ogni singola azione partigiana, di ogni singola azione fascista e nazista, del rapporto conflittuale che si creò dentro un popolo ridotto allo stremo, non si fa la storia della partigianeria italaina.
Senza la capacità di leggere dentro le pieghe delle contraddizioni che emersero, ad esempio a Roma, nonostante il diffuso e palpabile antifascismo raccontato dal “viaggiatore” Lelio Basso, rientrato dall’esilio nel 1943, di tramuare questo sentimento comune e collettivo in una organizzazione di massa, senza il guardare in faccia soprattutto queste dinamiche davvero complicate di quegli anni terribili e straordinari al tempo stesso, non si può tracciare un profilo della storia tanto della Resistenza quanto dell’opposizione pluridecennale al regime fascista.
Perché, proprio nello stridire tra idee e fatti, tra grandi prospettive e piccole azioni di un esercito di popolo che si va faticosamente costruendo, ricorrendo anche all’incitamento alla diserzione nei confronti delle truppe della repubblichina di Salò, emergerà alla fine un grande movimento collettivo che interagirà tra città e campagna, tra collina e pianura, tra bande disorganizzate e brigate organizzatissime, imponendosi, con la direzione del CLN, al cospetto delle potenze che belligerano, divenendo quel prodromo di Italia libera, altra tanto da quella dei Savoia e da quella di Mussolini, di cui gli alleati non potranno non tenere conto.
L’attenzione di Bocca alla “politica” partigiana, se così vogliamo semplificare definendo tutte le operazioni militari che venivano decise con l’obiettivo anche di liberare territori e farne delle “libere repubbliche“, va di pari passo con la descrizione meticolosa della vita sui monti e sulle colline.
La Resistenza antifascista è certamente un movimento militare, ma, prima di tutto, è una rinascita sociale, civile e politica di un popolo che acquisisce finalmente una coscienza individuale e collettiva nel potersi esprimere liberamente proprio dentro al movimento che cresce nelle fabbriche, che si nutre del sostegno della cittadinanza, della collaborazione di chiunque: ragazze e ragazzi, donne di ogni età, uomini giovani che si danno alla macchia ed anziani che li sostengono senza poter combattere direttamente il nemico.
L’Italia partigiana è tutto questo: la progressiva riemersione di una volontà di massa che, tra il 1943 e il 1945 si esprime militarmente attraverso qualche centinaia di migliaia di donne e di uomini decisi a dare una svolta alle sorti del conflitto laddove il fascismo arriva fino alla fine, senza voler mollare la presa.
Mussolini, nel suo ultimo discorso al Teatro Lirico di Milano, aveva detto di voler «difendere con le unghie e coi denti la Valle del Po, fino a che tutta l’Italia non sarà nuovamente fascista e repubblicana». Pochi giorni dopo fuggirà verso il confine svizzero, in colonna con le truppe tedesche, travestito da soldato del Terzo Reich per sfuggire alla cattura.
Mentre la Resistenza, priva dell’enfasi tronfia e smargiassa del fascismo, annunciava da Radio Milano Liberata la rinascita della Patria con l’avvio dell’insurrezione generale (“Aldo dice 26 x 1“), il duce e i suoi ultimi fedelissimi precipitano nel giudizio – dirà il CLN – «già fatto proprio dalla Storia». Quella storia delle partigiane e dei partigiani che Giorgio Bocca ha saputo scrivere con acume e con piena aderenza al metodo storico di Marc Bloch.
STORIA DELL’ITALIA PARTIGIANA
SETTEMBRE 1943 – MAGGIO 1945
GIORGIO BOCCA
FELTRINELLI
€ 16,00
MARCO SFERINI
23 novembre 2022
foto: particolare della copertina del libro