Ieri sera ho visto il film “Sulla mia pelle”. Ho rivissuto la lettura de “Il sovversivo” di Corrado Stajano.
Fate una cosa: se conoscete la terribile vicenda di Stefano Cucchi, prima leggete il libro su “vita e morte dell’anarchico Serantini” e poi, siccome film (a parte qualche documentario pregevole ma fuori dai grandi circuiti cinematografici) su Franco non ce ne sono, guardate quello su Stefano.
Vi garantisco che rivivrete molti dei colori ematici che vi sarete immaginati tra le righe vergate da Stajano. Rivivrete la prepotenza del potere, la gratuita, cieca cattiveria di tutto un sistema burocratico che mortifica i tempi della vita, della relazione tra esseri umani che sono padre, madre, sorella e fratello; che impedisce loro di vedersi, toccarsi, parlarsi per capire come sta l’uno in carcere e come stanno gli altri nell’altra cella di detenzione: quella dell’angoscia permanente.
Leggete prima la storia dell’orfano sardo ucciso a Pisa dalla polizia mentre si opponeva al comizio fascista di Niccolai. Poi guardate il film su Cucchi. Sono ragazzi diversi, sono tempi molto differenti fra loro.
Eppure, nonostante le differenze, mi rifiuto di pensare che siano “gli ultimi” del mondo: ciascuno a suo modo, entrambi hanno provato a sfuggire all’agonia di una vita che non sentivano loro e che volevano vivere davvero un po’ anarchicamente, senza vincoli.
Infrangendo la sacralità della legge. Quella legge che ha spezzato le loro ossa.
(m.s.)
foto tratta da Pixabay