Stato e mafia? Meglio la Repubblica

Bisogna forse indagare meglio la struttura del potere che diventa istituzione, Stato, che include quindi tra le sue ragioni d’essere una comunità chiamata “popolo”, per capire cosa significhi per...

Bisogna forse indagare meglio la struttura del potere che diventa istituzione, Stato, che include quindi tra le sue ragioni d’essere una comunità chiamata “popolo”, per capire cosa significhi per davvero la locuzione “trattativa Stato-mafia”.
Perché sarebbe dovuta esistere una trattativa da lo Stato e la criminalità organizzata che è da sempre vista come una sorta di anti-Stato?
Ed è poi corretto qualificare così la mafia? Perché dalle carte che si sono potute leggere e dal pronunciamento della sentenza che condanna proprio certi apparati dello Stato che erano diventati anti-Stato, sembrerebbe che una linea netta di demarcazione tra potere statale e potere mafioso non sia poi così facilmente delineabile, tracciabile su un terreno sul quale da una parte stanno i buoni e dall’altra i cattivi.
Non si tratta nemmeno di stabilire un equilibrio in tutto ciò, semplicemente perché non può esservi una compensazione tra due interessi opposti. Perché di questo alla fine bisogna discutere: di chi vuole proteggere con la democrazia il benessere comune e di chi invece vuole utilizzare la democrazia per fini privati mediante non la “normale” concorrenzialità capitalista ma con metodo violento, con soppressione del diretto avversario. Il metodo mafioso è appunto questo: l’interesse privato, il dominio economico su e di un territorio ottenuto attraverso il superamento violento delle regole comunemente date.
Lo Stato dovrebbe rappresentare l’insieme degli apparati pubblici che difendono tutte queste regole nate e mantenute per evitare che si creino ingiustizie così enormi e palesi da entrare in contrasto con l’interesse di tutti che è anche interesse singolo.
Ma il tema del “potere” è anche altro e si perde nella notte della Repubblica, come avrebbe scritto Sergio Zavoli: avere il potere significa gestire prima di tutto il potere stesso e farne uno strumento piegato all’interesse dominante. Averlo vuol dire agire per conto di altri che detengono il vero esercizio di controllo globale: il governo, del resto, rimane un comitato d’affari della classe che ha il predominio economico.
Ed anche la mafia, in un certo qual modo, è un prolungamento, criminale, del sistema capitalistico.
Intendiamoci, c’è una enorme differenza tra l’assumere il ruolo di “imprenditore” nel sistema delle merci e del profitto, combattere la propria lotta di classe contro il moderno proletariato attraverso le rispettive associazioni sindacali e invece assumere i panni del mafioso che, invece delle vertenze, usa bombe, mitra e pistole, scioglie bambini nell’acido, intimidisce intere comunità e tiranneggia chiunque.
Criticare il potere, di più ancora il potere dello Stato, senza avere chiara questa scientifica distinzione tra padronato e regime mafioso sarebbe fare torto prima di tutto alla semplice, elementare osservazione dei fatti in nome di un dogmatismo, questo sì, ideologico nel senso deteriore del termine.
Certe equivalenze, assimilazioni e univocità sono cattive tentazioni che finiscono per negare l’oggettività di un complesso rapporto proprio di potere che deve essere indagato ma con metodo per l’appunto scientifico: quindi senza pregiudizi anche politici.
Così, la vicenda della trattativa tra Stato e mafia ci parla di una deviazione di certi apparati del potere pubblico contro il pubblico medesimo. Ma ci dice anche che la opportuna distinzione inserita nella Costituzione tra le parole “Stato” e “Repubblica” è necessaria più che mai.
Lo Stato, infatti, è formato da alcuni cittadini delegati a gestire tutti gli altri attraverso le regole costituzionali. Ma la Repubblica siamo tutte e tutti noi: la “cosa pubblica” è un concetto molto più altamente laico di quello di Stato.
La Repubblica può essere anche assenza di potere verticale: può essere condivisione di responsabilità e gestione comune della vita quotidiana per realizzare il maggior grado di felicità possibile.
La Repubblica può anche essere una forma di Stato, di governo e, intesa come la spiegò una volta Mazzini ad una popolana genovese che lo aveva incontrato nei caruggi della Superba, è proprio “quel governo nel quale chi sbaglia viene mandato via dal popolo”.
La Repubblica, dunque, vive nel popolo: vive in quel popolo che si adopera per la difesa del benessere comune, non in quello che trama contro la democrazia per voglia di potere o di profitto.
La Repubblica è, attualmente, il bene più prezioso che riunisce in sé tutti i beni comuni: il diritto alla vita, all’acqua, al sostentamento, alla conoscenza, alla libertà di pensiero e di parola, di culto, agnosticismo e ateismo.
La Repubblica è sempre, con la sua Costituzione, la migliore risposta a qualunque mafia e a qualunque parte dello Stato deviata, a qualunque interesse solamente privato, egoistico, liberista all’ennesima potenza.

MARCO SFERINI

21 aprile 2018

foto tratta da Pixabay

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