È un gran, generale, tirare il fiato in Germania e in Europa per lo scampato pericolo di una Repubblica federale politicamente destabilizzata e forse imprevedibile. Al termine di una lunga serie di contorcimenti, ordini e contrordini.
Così Martin Schulz è riuscito ad ottenere dai delegati del suo partito un poco entusiasta 56,4 per cento di consensi al processo negoziale che dovrebbe condurre alla riedizione dell’alleanza con Cdu e Csu.
Al 44 per cento dei contrari, che giurano però di non voler mettere in questione l’unità del partito, il segretario promette di «andare al governo per cambiare la Germania».
Il contrario esatto di quanto la rediviva Grande coalizione è chiamata a fare e cioè conservare la Germania, se possibile, così come è. Ha prevalso infatti l’idea, comune a ogni filosofia delle larghe intese, che il cambiamento non avrebbe potuto che essere in peggio. La coalizione con i liberali avrebbe infatti inflitto ai paesi più sgangherati del Vecchio continente un surplus di austerità e di egoismo nazionale tedesco e un’accentuazione del rigore liberista all’interno del paese.
Un governo di minoranza resta fuori dall’orizzonte culturale di una opinione pubblica allergica a qualsiasi ombra di instabilità e il ritorno alle urne minacciava di produrre risultati non dissimili da quelli di settembre e, semmai, stando ai sondaggi, ancora più negativi per gli storici partiti di massa. Questi ultimi mantengono le redini nelle proprie mani, ma conservare le cose come stanno porterà inevitabilmente acqua ai mulini dello scontento. Alternative fuer Deutschland, il partito nazionalista e xenofobo entrato fragorosamente nelle istituzioni, potrà giovarsi delle prerogative che spettano al maggior partito dell’opposizione e non sarà un problema di poco conto in presenza di un governo la cui attività riformista rischia di essere fortemente inibita dal timore dei partiti che la compongono di perdere ulteriori consensi per ragioni e in direzioni diametralmente opposte. La contraddizione di fondo, che costringe ad assomigliarsi per governare insieme due partiti che avrebbero un bisogno disperato di differenziarsi è tutt’altro che sciolta.
Di qui il «molto lavoro da fare» evocato da Angela Merkel pur sollevata, per il momento, dall’esito del congresso straordinario dei socialdemocratici. I quali, del resto, dovranno ancora affrontare in febbraio il pronunciamento degli iscritti forse ancora più divisi dei loro delegati. C’è da dire, però, che la tradizione della Spd è ormai da tempo una tradizione di governo che il «patriottismo di partito» dei suoi militanti ha assimilato in profondità. E il governo, nelle attuali condizioni, si presenta solo nella forma della Grande coalizione.
Non è facile prevedere quanto questa rinnovata alleanza finirà col logorare i suoi contraenti a favore delle opposizioni di sinistra e soprattutto di destra, ma sembra ormai un dato di fatto che la governabilità non possa che poggiare su un divario crescente dalle tendenze di diverso segno che si vanno sviluppando nella società. Per contrastare quelle negative e favorire la crescita di quelle positive servirebbe una dialettica politica alla quale i grandi partiti di massa continuano a sottrarsi.
Lo stesso problema si presenta nella dimensione europea che assiste da tempo, paralizzata dalla sua struttura intergovernativa, alla proliferazione di nazionalismi xenofobi e identitari. Su questo terreno Martin Schulz, forse per attenuare la sua estraneità alla politica nazionale tedesca, era stato assai reticente nel corso della campagna elettorale. Ma ora, quella europeista, potrebbe essere la carta giusta da giocare.
Tanto più che l’attenuazione dell’austerità è strettamente collegata a una profonda revisione dei criteri che hanno ispirato fino ad oggi l’accumulazione tedesca e che la Spd di Sigmar Gabriel si era ben guardata dal mettere seriamente in discussione.
Vi sono politiche di stabilità che a lungo andare favoriscono la peggiore delle destabilizzazioni, quella che conduce alle soluzioni autoritarie, se non al centro almeno alla periferia. Le prossime settimane ci diranno se, al di là delle formule di governo, vi saranno comunque all’interno della socialdemocrazia e nella società tedesca energie davvero capaci di condizionare il corso politico della Germania e la sua posizione nei confronti dell’Europa.
MARCO BASCETTA
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