Sono passate da poco le 11 del mattino di lunedì, quando il presidente del governo spagnolo Pedro Sánchez, avvalendosi della sua prerogativa costituzionale, annuncia lo scioglimento delle Camere e la convocazione di elezioni politiche per il prossimo 23 luglio, in anticipo di sette mesi rispetto alla scadenza naturale della legislatura. La scorsa domenica il suo partito è stato sconfitto dal Pp nelle elezioni spagnole per i consigli regionali delle Autonomie e quelli cittadini dei municipi.
Sono passate appena poche ore dai festeggiamenti in via Génova, a Madrid, sotto la sede nazionale dei popolari e Sánchez sorprende tutti con una decisione che chiude un ciclo politico e ne apre uno nuovo. Suona d’azzardo, ma è forse l’unico modo per sparigliare le carte e immaginare un finale distinto. Assume in prima persona la responsabilità dei cattivi risultati elettorali e consegna agli spagnoli la parola perché decidano sulle politiche da farsi, sui partiti per governare il paese e sulla guida della presidenza dell’Unione europea.
Il semestre europeo di presidenza spagnola inizierà infatti il prossimo 1 luglio, a pochi giorni dall’inizio della nuova campagna elettorale. Così, in un colpo solo, Sánchez cambia il senso della narrazione, approfittando dello shock in cui è caduto il suo elettorato alla vista degli esiti del voto, scegliendo di non farsi logorare per mesi dentro e fuori il partito e obbligando le formazioni alla sua sinistra a ricercare un’intesa in un’unica lista per concorrere alle elezioni e rinnovare un esecutivo di coalizione progressista.
Immediata la risposta dei soci di governo: la vicepresidente e ministra del Lavoro Yolanda Díaz, con la sua piattaforma Sumar e il leader di Izquierda Unida e ministro del Consumo Alberto Garzón accettano la sfida, impegnandosi a sconfiggere l’ondata reazionaria che ha invaso il paese. La segretaria di Podemos e ministra dei Diritti Sociali Ione Belarra dice che il suo partito farà quello che gli riesce meglio: rimontare i risultati. Mentre il fondatore Pablo Iglesias riconosce al presidente di essere un maestro di tattica e di possedere una notevole audacia. Che non è nuova nell’agire di Sánchez come segretario di partito e capo del governo, quel tratto caratteriale che lo rende un personaggio politico imprevedibile.
Domenica i socialisti sono stati battuti dai popolari per poche centinaia di migliaia voti. Hanno perso il governo di tutte le grandi città, come Valencia e Siviglia e quello di 6 Comunità autonome, tra cui la Comunità valenciana, l’Aragón e le Isole Baleari. Nella città di Madrid e nell’omonima Comunità i popolari si sono rafforzati, ottenendo la maggioranza assoluta dei seggi. Vox ha scalzato Unidas Podemos dal terzo posto, triplicando i suoi consiglieri ed entrando in tutte le Comunità.
I socialisti sono però tornati a vincere nelle grandi città catalane, tranne Barcellona e nel cinturone urbano della capitale catalana, diventando il primo partito in Catalogna, come un tempo, quando l’indipendentismo non era ancora un movimento di massa. E proprio in Catalogna, differentemente da quasi tutto il resto della Spagna in cui la partecipazione al voto è aumentata di 1,5% rispetto alle elezioni del 2019, è andato a votare il 6% in meno degli elettori.
Una sorta di riflusso che ha interessato in particolare l’elettorato indipendentista, negli ultimi anni invece sempre attivo nelle scadenze elettorali. Tanto che tutti i partiti indipendentisti hanno pagato un prezzo in termini di riduzione di voti, soprattutto il partito di sinistra Esquerra che ha scontato il fatto di avere sostenuto molte delle scelte dell’esecutivo spagnolo e di governare ora in solitario la Generalitat.
I risultati elettorali hanno penalizzato anche le formazioni alla sinistra dei socialisti, mettendo fine al ciclo iniziato nel 2015 della città del cambio. I partiti che sono parte della piattaforma Sumar non sono riusciti a contenere l’ondata popolare a Madrid e a Valencia; Ada Colau è arrivata solo terza a Barcellona, perdendo il titolo di sindaca. Mentre Podemos non è riuscito a superare lo sbarramento del 5% né a Madrid né a Valencia, rimanendo fuori dai consigli comunali e della rispettive Comunità.
Ci s’interroga sulle ragioni della sconfitta delle sinistre in questa tornata elettorale, che pure hanno riempito la legislatura con un programma progressista di diritti sociali e di cittadinanza. La dissoluzione del partito liberale Ciudadanos ha certamente rimpinguato i voti andati al Pp e a Vox. I conflitti all’interno della coalizione e soprattutto nell’area alla sinistra del Psoe, hanno favorito la smobilitazione dell’elettorato progressista.
La Spagna è apparsa finora come una mosca bianca in un’Europa fortemente contaminata da un’ondata reazionaria che ha coinvolto la quasi totalità dei governi. E le resistenze opposte al cambiamento dai poteri forti hanno probabilmente trovato in queste elezioni l’occasione propizia per manifestarsi.
ELENA MARISOL BRANDOLINI
foto: screenshot tv