Spagna, retrocessione reazionaria o cambiamento progressista?

Alla vigilia delle elezioni politiche in Spagna, con società sempre più polarizzate su aspetti controversi della vita quotidiana e, in prospettiva, del futuro di popoli inseriti in contesti molto...
Yolanda Diaz

Alla vigilia delle elezioni politiche in Spagna, con società sempre più polarizzate su aspetti controversi della vita quotidiana e, in prospettiva, del futuro di popoli inseriti in contesti molto più grandi di quelli dei vecchi Stati nazionali, c’è forse una domanda che non è utile porsi: non fosse altro per provare ad interrogarsi su meccanismi di ricambio politico che si ripetono, anche se non in uguale misura, ma con grandi similitudini ed analogie in molte parti d’Europa.

La domanda è questa: come mai ogni volta che le forze progressiste vanno al governo, e magari attuano anche dei programmi di riforme e di stemperamento delle presunzioni liberiste, finiscono con l’essere travolte da sé stesse, da evidenti contraddizioni tra il dire e il fare, tra il voler fare e il non poter realizzare, tra compromessi e compromissioni di governo?

Più nello specifico: perché queste incongruenze non trovano una soluzione dentro i contesti delle maggioranze, nelle dialettiche parlamentari, ma sfociano, inevitabilmente, in tracolli elettorali e in successive dimissioni di interi gabinetti?

Questa è la domanda oltre la domanda stessa: un quesito che non è facile risolvere con facilità, se non appellandosi ai tanti condizionamenti che l’economia di mercato esercita proprio nelle azioni dei governi e che, quindi, costringe a seguire un preciso indirizzo deviando dai programmi originari.

Eppure, almeno in Spagna, una certa traccia riformista si è potuta individuare nel governo di Sánchez, sebbene l’esecutivo progressista abbia ceduto su molte parti del suo stesso programma, uniformandosi ad esempio alla linea da fortezza Europea per quanto riguarda i migranti, abbracciando quella di pieno sostegno al riarmo nordatlantico per la guerra in Ucraina, non affrontando da un punto di vista anticoloniale la questione dei rapporti esteri in direzione Sahara.

La destra neofalangista e fascista di Vox è entrata a spron battuto in queste contraddittorie feritoie, dove le dinamiche del capitalismo iberico sono penetrate e hanno deviato il corso di interventi di riforma del lavoro che avrebbero dovuto alzare il tenore di vita dei salariati, dei precari, dei disoccupati, nonché degli studenti e dei pensionati.

Tutto questo non solo non è avvenuto, ma le politiche economiche di Sánchez hanno minimizzato i problemi contingenti: dall’aumento dell’inflazione alla questione del rapporto tra lavoro ed ambiente, lasciando la questione di una transizione ecologica all’iniziativa privata e, quindi, subordinando il tutto all’interesse esclusivo del mondo imprenditoriale e non ad una visione più larga che includesse una partecipazione popolare ai processi di trasformazione.

Nel 2022 l’occupazione andava migliorando in Spagna, segnando un più mezzo milione di lavoratori che entravano nel circuito del mercato del lavoro arrivando ad ingrossare la cifra complessiva di oltre venti milioni di occupati.

Tutti i posti persi durante il biennio pandemico parevano così riassorbiti da una fase espansiva dell’economia, da incentivi dati dallo Stato che, con un governo di coalizione tra PSOE, Izquierda Unida e Podemos, poteva così dire di aver segnato un successo sul fronte che sta più a cuore a forze dichiaratamente socialiste e comuniste: la tutela e l’espansione dei diritti e della giustizia sociale.

Partito popolare e Vox hanno, nel corso di questi mesi, consolidato un dialogo, stretto alleanze, formato maggioranze locali e hanno cavalcato una protesta che riprende la difesa senza mezzi termini dei privilegi di una borghesia imprenditoriale e di una finanza insofferenti anche soltanto verso le timide riforme del governo Sánchez che si sono andate a scontrare con la dura realtà di un impoverimento che è – è bene sottolinearlo – figlio di una continentalizzazione della crisi più generale.

Una crisi che l’Europa non affronta se non facendo aumentare i tassi di interesse alla BCE, sovvenzionando la NATO nella guerra imperialista contro l’invasione russa dell’Ucraina, pagando i peggiori regimi di frontiera al di là dell’Egeo e del Mediterraneo intero per evitare che i migranti diventino quello che già nei fatti sono: un fenomeno globale, impossibile da contenere entro i confini dell’Africa o del Medio Oriente che ribollono di migliaia di persone in fuga da eventi molto più tragici di quelli del cosiddetto “mondo occidentale“.

Dunque, i problemi del governo iberico e della Spagna tutta quanta si inseriscono entro questo contesto molto più ampio; ed anche la crisi di una sinistra fortemente progressista va, pertanto, letta alla luce delle sufficientemente chiare contraddittorietà che il perimetro sociale, politico, economico e finanziario dei Ventisette descrive in una fase in cui prevale l’interesse geopolitico, imperiale e quindi speculativo che riguarda le forniture di armi, la scarsità di materie prime, la tutta attuale crisi del grano.

Tuttavia, per quante ragioni si possano trovare a parziale alibi della crisi della sinistra spagnola (e di altre sinistre…), il nocciolo della questione rimane il misto di incapacità e di impossibilità per un esecutivo progressista nel bilanciare programmi messi su carta e programmi da realizzare. Arrivati a questo punto, alla crisi e alle dimissioni fulminee di Sánchez dopo le sconfitte nelle votazioni regionali e locali, ci si può anche chiedere se il capo del governo abbia messo in essere la tattica giusta?

Il ricorso alle urne è l’unico modo, immediato, per evitare di perdere troppi consensi e sfidare l’asse PP – Vox riuscendo a ridimensionare la scalata dell’estrema destra falangista verso un vertiginoso aumento di deputati nelle Cortes generales?

Non sarebbe stato più congruo, nella dimostrazione di una ostinata applicazione di un piano davvero innovatore per il mondo del lavoro e della precarietà, continuare l’azione di governo e insistere su quei progetti che ancora non erano stati messi in cantiere, magari alzando il tono del dialogo con la classe borghese ed imprenditoriale?

Non sarebbe stato più utile regalare agli spagnoli non solo la sensazione, ma la concreta evidenza di poter imporre al padronato e all’alta finanza delle misure che contrastassero veramente la crisi sociale, l’aumento delle diseguaglianze, impedendo così che la demagogia populista, antioperaia, fascista, omofoba e xenofoba dilagasse in quasi metà della società iberica?

E’ possibile, e ce lo eravamo già chiesti a suo tempo, che la mossa di Pedro Sánchez abbia ancora una volta risposto a quel suo carattere da giocatore d’azzardo, che spariglia le carte, che prende tutti di sorpresa e che intende, quindi, aprire la sfida a tutto tondo con un avversario che si è rafforzato nel corso della legislatura progressista.

I rischi di chi governa sono, per una percentuale non trascurabile, quelli di chi, messo alla prova dei fatti, e dovendosi scontrare con tante realtà oggettive e relazioni internazionali non modificabili dall’oggi al domani, non può non cercare un compromesso tra il proprio programma e la testardaggine di una realtà circostante che preme per non vedere sminuiti interessi che sono altrimenti garantiti da forze politiche di centro e di destra che non si fanno grossi problemi riguardo al piano della coerenza tra il contenuto dei comizi e l’azione di governo.

Per quanto la maggioranza PSOE – Unidas Podemos abbia commesso degli errori, sia stata troppo litigiosa, dando comunicativamente l’impressione di uno sfilacciamento dell’unità raggiunta in nome dell’evitamento di un governo delle destre, è a tutte e tutti evidente (o dovrebbe esserlo) che un ritorno del PP alla guida della Spagna sposterebbe l’asse di questa Europa così nazionalistizzata, atlantizzata e serva obbediente del grande capitale, ancora più verso una affermazione di un conservatorismo radicale.

Tanto più se si realizzasse la preconizzazione sondaggistica (a dire il vero in queste ultime settimane leggermente retrocessa di qualche punto in percentuale) di una maggioranza assoluta tra popolari e fascisti di Vox, capaci così di dare vita ad un governo esattamente opposto a quello dimessosi dopo il voto regionale.

Vox è il peggio del peggio di quel che può esprimere una destra nazionalista e va contrastata con ogni mezzo democratico possibile. L’assalto del liberismo di destra ad un nuovo governo, questa volta del PSOE e di Sumar (la coalizione guidata dall’ex ministro del lavoro Yolanda Díaz, già esponente di Podemos, che congloba Unidas Podemos e Izquierda Unida in un progetto di rinnovamento dei rapporti a sinistra), ci sarà senza alcun dubbio.

Ma una vittoria dell’asse tra Partido popular e Vox renderebbe ancora più instabile il quadro europeo: certamente per le élite che lo controllano e lo governano, ma ancora di più, proprio per queste ragioni, per un mondo del lavoro costretto ad una doppia subordinazione. Continentale e nazionale.

L’ondata reazionaria che ha investito l’Italia rischia di ripetersi in Spagna, di ammantarsi di una rispettabilità dai tratti democratici entro un contesto di crisi in cui si esige la mano forte del decisionismo di governo, facendo delle Cortes quello che oggi viene fatto da noi nei confronti del Parlamento: un luogo deputato quasi esclusivamente alla ratifica dei decreti dell’esecutivo di Giorgia Meloni che, tuttavia, incontra qualche non piccola contraddizioni nei rapporti tra imprenditoria e potere.

Nessuna coalizione è scevra dal commettere degli errori. Diverso è il giudizio politico che si può dare del riformismo, definito da alcuni “social-liberismo“, di questo o di quel paese. Indagando l’azione di governo e della maggioranza appena tramontata con l’apertura delle urne in Spagna, è evidente che non si può affermare di essersi trovati davanti ad un progetto rivoluzionario: se così fosse, non staremmo a discutere del tipo di riforme da mettere in cantiere e da portare avanti con più autonomia rispetto alla classe padronale.

Ma, rimarcando tutti gli errori fatti, soprattutto quelli che sono emersi da un contrasto troppo evidente tra la giusta intransigente coerenza di Izquierda unida sul fronte della contrattualità e dell’aumento dei diritti del comparto agrario e di quello industriale rispetto alla timidezza del PSOE nel merito, l’obiettivo deve rimanere duplice: impedire a PP e Vox di governare la Spagna e, nello stesso momento, dare al paese iberico una riforma del lavoro che parli di freno al precipitare dei diritti sociali, unitamente a quelli civili.

Inflazione e salari devono essere controllati con inversa proporzionalità. Così i diritti civili vanno mantenuti e salvaguardati: sappiamo bene tutti che una della campagne più odiose di Vox è l’attacco al diritto di aborto; così come la manifesta omofobia che molti esponenti del partito fratello di quello attualmente di maggioranza relativa in Italia hanno esplicitato senza troppe remore.

Non ultimo un candidato castigliano che ha affermato: «Il matrimonio, come indica il suo stesso nome, è una unione tra uomo e donna che dovrebbe portare ad avere prole. Il matrimonio omosessuale non possiamo chiamarlo matrimonio, perché domani potremmo chiamarlo l’unione di una persona con il proprio gatto».

Ecco perché il voto contro queste destre e per un nuovo governo progressista è più che mai necessario, a più di ottant’anni dall’inizio di quella guerra civile che devastò il paese e ne fece un grande cimitero: di centinaia di migliaia di corpi, di milioni e milioni di coscienze.

MARCO SFERINI

22 luglio 2023

foto tratta dalla pagina Facebook nazionale di Sumar

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