Solitudine e storia

Se di Paolo di Tarso possiamo dire che fu protagonista di una conversione intesa per antonomasia, quella che viene da un segno direttamente divino, che entra quindi nella sfera...
Blaise Pascal

Se di Paolo di Tarso possiamo dire che fu protagonista di una conversione intesa per antonomasia, quella che viene da un segno direttamente divino, che entra quindi nella sfera del mito e della venerazione presantificale sul piano della coevità, così da farne uno dei principali propagatori politico-religiosi del Cristianesimo delle origini.

Altri mutamenti di opinione che riguardarono uomini e donne di scienza e di fede, di studio e di ascetismo, di ragione e di spiritualismo, si possono collocare invece entro la dissertazione filosofica. O, per lo meno, entro i canoni di una speculazione che include anche la filosofia come continua produzione dubbiosa di ipotesi e di congetture sull’esistenza tanto quanto sull’inesistente.

Oggi la scienza definirebbe questi campi di indagine nello studio della materia propriamente detta, visibile, percettibile a tutti i sensi, e quella cosiddetta “oscura” che, fantastica nemesi permanente ma non imperitura (perché un giorno forse potremmo sapere se è e di cosa è composta), è la maggior parte di ciò che costituisce il mistero (è proprio il caso di dirlo) dell’Universo.

Questo rapporto tra scienza della conoscienza (altrimenti detta “epistemologia“) e dedizione ad una fede che diviene rigorissima, piena aderenza ad una primitiva ma anche genunina considerazione dei testi evangelici, è un processo – se vogliamo – dialettico ma anche contraddittorio nell’esserlo, visto che finisce per elidere una delle due questioni e lasciare campo libero solamente all’altra.

Se questo confronto fra razionalità e interiorità, fra “spirito geometrico” e “spirito di finezza” ha oggi un qualche significato nel farci comprendere il travaglio interiore di molti di noi nella ricerca di un “senso” dell’esistenza, lo dobbiamo a Blaise Pascal.

La controversia del filosofo francese, uomo di scienza e di coscienza, è molto bene riassunta in una antologia della sua vita curata da Flavio Baroncelli per la vecchia casa editrice “La Nuova Italia“. Il titolo “Solitudine e storia” (due edizioni: 1975 e 1981) in cui si ripercorre con grande acume tutta la vicenda pascaliana.

L’ingegno del matematico, costruttore di nuove macchine per i calcoli, per la misurazione delle distanze, è una completa dedizione al principio scientifico della ricerca continua, per oltrepassare il dubbio precedente, per acquisire nuove conoscenze e, quindi, scoprire di più sulla realtà dell’essere umano entro la natura, entro il più vertiginoso e inimmaginabile infinito universale.

Ma anche il più dedito seguace della razionalità e della scienza può essere “convertito” alla soluzione più semplice del grande mistero: Dio.

Pascal, ancora prima di divenire un accanito giansenista, si fa compenetrare da un rapporto di interdipendenza tra natura e metafisica, tra immanenza e trascendenza, tra materiale e incorporeo, tra mente e cuore. E’ il classico conflitto che un po’ tutti abbiamo vissuto o viviamo pur dicendoci convinti di essere ora credenti, ora agnostici o atei, oppure indifferenti a qualunque sia l’interpretazione tanto di questa vita quanto di ipotetiche altre esistenze post mortem.

Il dibattito interiore in Pascal ci è giunto quasi del tutto integro nel suo racconto grazie ad una biografia tracciata da una delle sue sorelle, Gilberte, e dell’opera forse più famosa a cui la stessa sorella, che ne aveva radunato le carte, diede il titolo di “Penseés“.

Mentre questi ultimi sono la catalogazione delle espressioni puntuali del pensiero di Blaise, la descrizione della sua esistenza risulta viziata da qualche tratto apologetico declinato in una benevolenza pressoché esclusiva verso il fratello e verso la sua conversione al giansenismo.

Tuttavia, ogni memoria ci è utile per comprendere la straordinaria dicotomia tra quelle che si potrebbero definire le “due vite” di un filosofo che visse solamente trentanove anni e che, ancora giovanissimo, a soli ventitré trovò nella fede quel completamento della propria esistenza che la sola razionalità non riusciva a dargli.

Flavio Baroncelli esplicita molto bene, in sintesi, questa lotta degli estremi, degli uguali e dei contrari, per cui a Pascal «è giusto dargli tanta rilevanza perché è tra i pochi che obbligano la cultura laica ad entrare a fondo nei problemi degli spiriti religiosi, e viceversa». Il periodo del libertinaggio parigino è utile al pensatore di Clemont-Ferrand perché l’insegnamento che ne trae è di una dualità umana che oscilla tra grandezza e miseria, tra seriosità e “divertissement“.

Lo spirito che aleggia senza soluzione di continuità è quello della contraddizione apparente che si fa reale ogni volta che le ambivalenze entrano in scena e la perfezione ne viene scacciata, elemento presupponente che non piace né al lato matematico e scientifico, né a quello giansenista e del cuore a cui Pascal rimarrà legato per il resto della vita.

L’autocoscienza umana è il basamento quasi regale su cui poggia una specialità che è, più che una intuizione, una considerazione oggettiva, letteralmente empirica.

Stephen Hawking ha espresso tutto questo in una frase affascinante tanto quanto lo è il tema trattato: «Siamo solo una specie evoluta di scimmie su un pianeta minore di una stella media. Ma siamo in grado di capire l’universo. Questo ci rende qualcosa di molto speciale». Ed è in questa specialità che Pascal ricerca il suo stare al mondo, il suo esistere, il suo rapporto con la mente e con il cuore. Proprio e altrui.

Voltaire gli rimprovererà di aver abbandonato la via della Ragione, di aver tradito l’umanità in questo modo, di essersi dedicato ad una sorta di ascesi che non aggiunge nulla a ciò che sappiamo ma che può soltanto fare delle ipotesi. E la più famosa di queste è la “scommessa” sull’esistenza di Dio. Non è una interpretazione teleologica della realtà, ma è, per sua stessa ammissione e per il nome che porta, una sciarada, una riffa, una sfida con sé stessi e con l’indicibile, l’imperturbabile, l’inconoscibile, il deserto che siamo dentro di noi.

Qui la matematica non c’entra niente, se non per delle altrettanto ipotetiche percentuali sugli scommettitori (e non sul merito della scommessa stessa): quanti possono puntare sull’esistenza di Dio e quanti no? Dipende, ovviamente, a chi è rivolta la scommessa. Ma il punto è che Pascal vuole appianare il contrasto aspro tra fede cieca e intollerante, dogmatica e priva di raffronto col resto delle pulsioni umane, e ragione.

La “scommessa” è stata nel tempo molto più apprezzata da ambienti laici che non religiosi. Il “Dio nascosto” di Pascal, quell’ondivaga è un po’ ontologica presenza/assenza del creatore supremo di tutte le cose visibili e invisibili, che si manifesterebbe attraverso le percezioni delle emozioni e delle sensazioni dettate dal nostro animo (leggasi: empatia, cuore, vicinanza), è una fascinazione di per sé, un classico del pensiero laico: cercare, scovare l’essere supremo là dove la natura ci appare straordinariamente miracolosa, proprio perché prodotto che trascende l’umano e di cui esso stesso fa parte.

La fascinazione che Pascal può esercitare sui credenti anche del nostro tempo, non è inferiore a quella che spinge un agnostico ad esaminarne il pensiero, pur sapendo che lo condividerà fino ad un certo punto della brevissima vita del filosofo francese. Se la prima parte di questa esistenza non fosse stata spesa per l’impegno scientifico-matematico, per una specie di indagine molto meticolosa sulla natura dell’esistenza e dell’esistente, noi oggi parleremmo di Pascal solo in termini strettamente fideistici, religiosi e quasi teologici.

Un filosofo così meriterebbe una mera attenzione storica. Invece, tuttora noi ci possiamo permettere un confronto fra spirito geometrico e di finezza, tra ragione e cuore e, in questo rapporto di alternanza (non di alternativa, perché Pascal non mette mai in netta contrapposizioni né i termini, né le questioni che riguardano ratio et fides), ritrovare tutta l’essenza di una esistenza che mostra le possibili contraddizioni umane sotto il profilo tanto dell’uomo propriamente inteso quanto del matematico o del fedele devoto.

La multilateralità del pensiero pascaliano è una ricchezza perché il suo misticismo, a tratti davvero insopportabile, proprio perché così assoluto e privo di qualunque tentennamento o incertezza, non fa venire meno i suoi altrettanto profondi convincimenti sulla necessità del miglioramento della vita sulla Terra grazie alla conoscenza e alla sperimentazione che dimostra e che non si affida alla sola ripetitività del dubbio e, nella sua insolvibilità eventuale, ad un connubio con un rassegnato dogmatismo.

Il giansenismo è la proclamazione dell’insufficienza umana entro i limiti di una perfettibilità irraggiungibile se non attraverso l’espiazione del peccato. Non l’incapacità, ma l’occasione persa – con il peccato originale – di arrivare nuovamente alla “gratia Dei” e, quindi, è molto più intransigente della Chiesa cattolica stessa, entro cui peraletro si colloca pienamente (Cartesio non riteneva certo di essere escluso dalla comunità ecclesiale) è un po’ al centro della finitudine umana che, del resto, anche la scienza stessa indaga, ovviamente da un punto di osservazione nettamente differente, se non opposto.

L’esasperante lotta contro i gesuiti sarà uno dei propositi cardine nella disputa sulla grazia divina, sul libero arbitrio e sul confronto intrasecolare tra agostinianesimo da un lato e moliniani da l’altro. Entrando nella disputa teologica, che si nutre di un ricorso continuo alla semantica e alla disarticolazione quasi etimologica dei termini adoperati nel corso delle stagioni dell’umanità e dell’evoluzione ecclesiastica di un Cristianesimo sempre meno delle origini, si resta affascinati dalla distopia che si genera e dall’intercapedine conseguente che ne deriva dove si colloca un nuovo spirito del pensiero.

Uno spirito dell’intuizione affidata alla credenza, alla retorica (intesa come arte del parlare e non come figura retorica di sé stessa), alla esasperata ricerca di una collaborazione tra interpretazioni differenti sul rapporto tra l’essere umano e il dio che (lo diciamo noi, non Pascal) si è creato ad immagina e somiglianza.

Dunque, fedeli o non fedeli, credenti o agnostici, ascetici o atei, si può leggere e ritornare a leggere e studiare Pascal come uno dei primi moderni esempi di confronto tutt’altro che banale tra materiale e trascendente, tra concreto ed etereo, tra sostanziale e formale, tra culture, tra discipline che interpretano in quella che noi chiamiamo “la modernità” il desiderio tutto umano di dare una qualche spiegazione a questa nostra esistenza, a tutto ciò che ci circonda.

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Per approfondire, si consiglia la lettura della “Opere complete” di Blaise Pascal edita da Giunti (2020)

MARCO SFERINI

6 settembre 2023

foto: screenshot


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