E’ davvero singolare la pigrizia politica e intellettuale con cui molti protagonisti e commentatori stanno affrontando l’attuale fase politica e, in particolare, il nodo della riforma elettorale. Si potrebbe anche compilare un piccolo dizionario dei luoghi comuni che abbondano nei discorsi correnti.
La prima voce è «coalizione»: sembra proprio che l’ultimo tentativo di metter mano alla riforma elettorale si giochi tutto su questo punto. La sinistra interna del Pd, ma pare anche Pisapia e alcuni ambienti prodiani, sembra che ne facciano una questione dirimente, per cercare di salvare le residue possibilità che il Pd di Renzi possa ancorarsi ad una qualche idea di «centrosinistra».
Ebbene, bisogna riconoscere che, su questo punto, la posizione di Renzi appare dotata di maggiore realismo (se, naturalmente, – ed è una grande incognita – terrà fermo a quanto detto sinora, ovvero che a questo punto non si tocca più nulla della legge elettorale vigente).
Ricordiamo per comodità dei lettori lo stato dell’arte: alla camera premio alla lista che superi il 40%, soglia al 3%. Al senato, possibilità di coalizioni, soglia all’8% per le liste singole, ma al 3% per le liste che sono dentro coalizioni oltre il 20% – è la clausola che dovrebbe «salvare» Alfano. Se nessuna lista ottiene il 40% la ripartizione dei seggi avviene su base proporzionale.
Quella di Renzi è una posizione più realistica, perché prende atto che non ci sono le condizioni politiche per una qualche coalizione di «centrosinistra». Ed è questo che sembrano non comprendere coloro che, dentro e fuori dal Pd, invocano una riforma elettorale con la «coalizione» e continuano a parlare di «centrosinistra». Basta porsi una semplice domanda: se pure la legge elettorale prevedesse questa possibilità (anche alla camera), quale credibilità politica avrebbe una coalizione tra il Pd e qualche spezzone alla sua sinistra (soprattutto, poi, se questa coalizione avesse anche una ben più consistente componente centrista)?
Renzi, ed è comprensibile dal suo punto di vista, giocherà la sua campagna elettorale rivendicando i risultati della sua stagione di governo: come potrebbe la sinistra che è fuori dal Pd accettare una simile prospettiva? E poi è persino offensiva nei confronti di Pisapia l’idea, che taluni nel Pd accarezzano, secondo cui Pisapia sarebbe la sinistra «buona», con cui ci si può alleare: ma, lo stesso Pisapia, può davvero acconciarsi all’idea di fare l’ala (anzi, l’«aletta») sinistra di una coalizione attorno al Pd che, per il resto, raccoglierebbe tutte le più pure espressioni del neo-trasformismo italico? Altro che «centrosinistra largo».
Su questo punto, sarebbe opportuno uscire da ogni ambiguità. Inoltre, c’è anche un’altra considerazione, di ordine più generale: che vantaggio potrà mai venire alla democrazia italiana da un sistema elettorale che favorisce enormemente il ricompattamento di una destra ad egemonia xenofoba e nazionalista? Non è più saggio favorire l’emergere di una autonoma destra conservatrice, ma europeista, legata al partito popolare europeo?
Ma c’è un altro luogo comune che impazza: la «divisione» del centrosinistra farà vincere la destra. Si continua a ragionare con gli schemi di una passata stagione politica, o come se si trattasse di eleggere un sindaco. La destra certo può vincere: perché è forte, ma non perché la «sinistra» è divisa. È banale dirlo, ma con un sistema proporzionale, per governare occorre il 51% dei seggi: e la prossima partita elettorale si giocherà, innanzi tutto, sulla capacità delle diverse forze politiche di portare alle urne il proprio potenziale elettorato, di mobilitarlo e motivarlo. E non c’è dubbio che oggi tutte le componenti della destra sono galvanizzate e viaggiano spinte da un clima profondamente regressivo, nella cultura politica del nostro paese. Ma c’è un solo modo per frenare questa tendenza (abbassando percentuali e seggi della destra): che anche l’elettorato democratico e di sinistra si mobiliti, che trovi un’offerta elettorale adeguata e articolata, che non si rifugi nell’astensione.
E non c’è dubbio che in questo momento, perché questo accada, c’è una sola condizione (necessaria, anche se da sola non sufficiente): che a sinistra del Pd vi sia una lista unitaria, credibile e autorevole, senza ambiguità. Sarà inevitabile e salutare un duro scontro politico ed elettorale con il Pd, ma questo non vuol dire affatto rinchiudersi in una logica settaria e minoritaria: anzi, la chiave sarà proprio quella di rivolgersi in modo aperto e unitario ad un elettorato che mai e poi mai voterebbe per il Pd e che piuttosto ingrosserebbe le fila del non-voto, o a quell’elettorato che cerca un’alternativa migliore alla scelta «obbligata» di votare il Pd come presunto «argine» alla destra. Anche per questo, una sola lista alla sinistra del Pd è una premessa essenziale: altrimenti, si condanneranno tutti all’irrilevanza.
E, infine, un terzo luogo comune: l’equazione proporzionale uguale frammentazione uguale ingovernabilità. Falso, in linea di fatto e in linea di principio. La storia degli ultimi vent’anni mostra come la frammentazione sia stata fortemente incentivata proprio dai sistemi elettorali a «premio di maggioranza», che hanno esaltato la rendita di posizione anche delle forze più marginali.
Al contrario, un sistema proporzionale, con una soglia non aggirabile al quattro o al cinque per cento è l’unico modo per tagliare le ali ai micro-partiti notabilari.
La stessa storia mostra poi come coalizioni siffatte non garantiscono affatto la qualità e la stabilità dei governi: al contrario, una competizione proporzionale, che faccia emergere la vera distribuzione delle opinioni politiche dei cittadini, permetterà che emergano le vere compatibilità o incompatibilità programmatiche, e affiderà ai rapporti di forza che emergeranno dalle urne la definizione dei possibili equilibri di governo, attraverso una mediazione che è fisiologica in una democrazia parlamentare.
Quell’equazione è falsa anche in linea di principio, perché ignora un dato: il formato della competizione e la qualità dell’«offerta» elettorale condizionano anche le scelte degli elettori. Tutte le simulazioni condotte sulla base degli attuali sondaggi lasciano il tempo che trovano. Da ultimo, anche le elezioni britanniche mostrano come le campagne elettorali, e il modo con cui sono condotte, possono smentire ogni precedente previsione. Figuriamoci poi se cambia anche il sistema elettorale.
Il tema della «governabilità» sarà senza dubbio al centro della prossima campagna elettorale: ma la lista di sinistra, se ci sarà, dovrà chiedere consenso e voti proprio per poter essere forza decisiva nei possibili futuri equilibri di governo. Tutt’altro, quindi, che una forza vocata alla testimonianza.
ANTONIO FLORIDIA
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