Siamo al punto di partenza. La corsa può ricominciare

La crisi economica e delle urne Quando si fanno delle analisi sui risultati elettorali si deve avere chiaro il quadro di insieme dei dati assoluti, delle percentuali ma, soprattutto,...

La crisi economica e delle urne
Quando si fanno delle analisi sui risultati elettorali si deve avere chiaro il quadro di insieme dei dati assoluti, delle percentuali ma, soprattutto, si deve avere chiaro il contesto economico e sociale in cui queste elezioni avvengono.
Il primo dato chiaro da cui partire è la crisi economica che impoverisce e un governo che non fa assolutamente nulla per fronteggiarla sul piano del sostegno sociale, del soccorso urgente per milioni di persone che sono sulla soglia di una povertà estrema e che scendono nel girone infernale di quel “sottoproletariato” che preferirei non citare, ma che è una tragica e concreta realtà.
I salari e le pensioni non sono più un valore: sono un diritto che si sbriciola nemmeno molto lentamente e che impedisce ai lavoratori, ai pensionati, ai precari e a chi il lavoro non ce l’ha da troppo, da lungo tempo, di vivere arrivando alla quarta settimana del mese.
La crescente povertà crea disagio sociale, tensioni e rabbia, odio e discriminazione. Questa tensione si scarica su un disprezzo per i meccanismi democratici di delega, per il voto in sostanza. E il risultato è che il 47% della popolazione non si reca alle urne. Questo è il primo, inquietante dato.

L’assenza di una coscienza sociale
Rifondazione Comunista ha lavorato in questi mesi (potremmo dire: in questi anni) per reinserirsi nei processi di dinamica sociale, sui territori. Ma evidentemente questo lavoro di lunghissima lena, di contatto costante con i moderni proletari, i poveri di nuova generazione, gli sfruttati di ultimo modello, è ancora ben lungi dall’ottenere quel legame stretto tra rappresentato e rappresentante: la gente non si riconosce nella sinistra in generale perché l’offerta di cambiamento che proponiamo è articolata su temi che impongono l’uguaglianza sociale come barriera di difesa al liberismo e all’aggressione dei governi liberisti come quello di Matteo Renzi.
Fondare sull’uguaglianza sociale la prospettiva di uscita dalla crisi è l’unica giusta interpretazione dell’avanzamento dei diritti sociali e civili; presuppone però una articolazione di ragionamenti che non possono contemplare la “difesa del fortino”, la xenofobia salviniana, il neofascismo leghista, il respingimento dell’ “altro diverso da noi” in nome della “coperta corta”.
In sostanza noi facciamo appello ad una capacità di elaborazione che non c’è: questi sfruttati moderni non hanno nessuna coscienza di classe, non sanno di essere un tutt’uno tra italiani e migranti e ricevono come soluzione prima e diretta, veloce e semplice, il respingimento che deriva dalla cieca paura di non poter più nemmeno sopravvivere.
Siamo alla disperazione sociale e la destra fa breccia in questi sentimenti di terrore singolo e collettivo. Siamo dunque, ancora una volta, alla cieca barbarie del “si salvi chi può”, pronti a gettare nell’acqua gelida del mare il primo che ingombra troppo su una scialuppa troppo piccola, invece che avvicinarsi tutti e provare a scaldarsi per non morire di freddo…

I dati
In questo contesto così difficile da recuperare ai valori di solidarietà, socialità, uguaglianza e mutualismo, abbiamo almeno provato a dare una risposta unitaria all’arroganza padronale del PD sia sul piano politico del presidente del consiglio e sul piano anche della rappresentanza economica che Renzi incarna a Palazzo Chigi. E l’abbiamo fatto cercando di unire ciò che era possibile unire in mezzo a molte discordie, molti rancori e dissapori.
Il risultato è sotto impietosi sguardi: solo in Liguria, Toscana e Marche abbiamo risultati di una certa dignità: il 4% per la Rete a Sinistra (con un voto secco e diretto sul presidente Pastorino che doppia i risultati delle liste, colpa anche di una campagna troppo personalizzata sulla sua figura, sul suo nome), il 6,3% per Sì – Toscana a sinistra, il 3,96% per Altre Marche.
Gli altri risultati sono ben poca cosa: L’Altra Puglia si ferma allo 0,9% (ed esperimenti come quello del Partito Comunista d’Italia decretano il loro completo fallimento con lo 0,6%, L’Altro Veneto arriva allo 0,75% (e non fa meglio la lista degli scissionisti antidestra che si ferma all’ 1,1%), il progetto della sinistra umbra staziona all’1,6%.
Un timido ma non trascurabile 2,36% per la Sinistra al lavoro in Campania.
Un quadro appena appena sufficiente visti i risultati di Liguria, Toscana e Marche. Altrimenti saremmo nuovamente a commentare dati di Waterloo elettorali che conosciamo da tempo.

Chi risorge e chi stramazza al suolo
C’è una resurrezione in queste elezioni regionali: è quella del movimento 5 Stelle. Con una campagna elettorale sotto tono, senza le urla grilline (sentite solo un po’ a Genova), il movimento pentastellato ottiene il risultato migliore alle amministrative dalla sua nascita.
La Lega avanza al 20% in Liguria, si fa prosciugare i voti dalla lista civica di Zaia in Veneto (ma sommando Lega e lista del presidente si sorpassa abbondantemente il 40%) ma non è la vera vincitrice morale (trattandosi della Lega bisognerebbe dire “immorale”) di questa tornata elettorale. Il movimento di Grillo arriva secondo nelle Marche, tallona Raffaella Paita in Liguria rischiando più volte di superare questa grande sconfitta.
Questa volta il profilo basso e non urlato del movimento ha vinto sulle urla di Salvini e sul suo presenzialismo televisivo.
Era opinione un po’ generale, dettata da una sensazione palpabile, che il movimento 5 Stelle fosse in netto declino rispetto alle elezioni europee, ed invece riemerge in ogni zona d’Italia e lo fa con un consenso strabiliante, per quanto mi rigurda decisamente inaspettato.
Il PD invece perde sonoramente, e non solo in Liguria: mantiene il governo di cinque regioni, ma subisce un vero tracollo in Liguria dove indietreggia, in quanto a voti assoluti e in percentuale perde quasi dieci punti in percentuale. Una sconfitta netta che deriva sicuramente anche da un 3% circa di elettori che invece di votare la Paita ha preferito Pastorino e ha esercitato il cosiddetto “voto disgiunto”, ma è una sconfitta che affonda le sue radici nella pessima gestione del territorio ligure da parte di Burlando. Si chiude, dunque, l’era di questo centrosinistra che lascia una pesante eredità di fango dietro di sé e non è un caso che proprio a Genova, sicuramente patria anche di Beppe Grillo ma non solo per questo, il movimento 5 Stelle ottenga la migliore affermazione di sempre e di tutta la Liguria.

Una prospettiva a sinistra
E, infine, la domanda è d’obbligo: quali prospettive per la sinistra di alternativa?
Per quanto mi riguarda, penso che Rifondazione Comunista debba continuare a mettersi a disposizione del progetto della Rete a Sinistra. Nella mia città, a Savona, otteniamo il 7% dei voti ed è un risultato molto buono, considerando la forte astensione e l’affermazione molto pesante della Lega razzista di Salvini.
Il peso di Rifondazione Comunista all’interno della Rete a Sinistra si è dimostrato non certamente inferiore a quello di altre forze, anzi in alcuni ambiti il voto intercettato dal PRC ha consentito affermazioni notevoli. Un esempio per tutto è la città di La Spezia.
Partiamo da ciò che abbiamo, facciamo fuoco con la legna che si è aggiunta in questi mesi in Liguria. Valorizziamo ogni singola compagna, ogni singolo compagno.
Mantenendo certamente le nostre differenze culturali e di programma massimo, ma ponendo a sintesi e a frutto tutto quanto ci unisce per una concretezza politica reale, che sia percepita quotidianamente dalle persone e che si differenzi da tutte le altre forze politiche.
Dobbiamo recuperare l’autonomia comunista ricostruendo un “partito sociale” che abbiamo troppo presto abbandonato. “Fare come Syriza”, mi diceva ieri Piera al telefono: sono d’accordo. Fare come Syriza, penetrare a fondo negli ambiti più disagiati della società e vestirsi di una umiltà politica che si metta al pari con la crisi sociale, con il pauperismo che dilaga. A Syriza ci sono voluti anni e anni di costruzione di questa interconnessione semplice e speciale al tempo stesso.
Non esiste un filo conduttore tra maggioranza sociale in crisi e maggioranza politica. Trasformare queste sofferenze in coscienza di classe, in senso di appartenenze ad un mondo di sfruttati che può risollevarsi e che deve trovare in noi comunisti, nella sinistra di alternativa la sponda per avere voce, nuovamente, in tutte le istituzioni repubblicane.
Per fare questo occorre dare forza a Rifondazione Comunista ma non come l’ultimo bastione di un radicalismo di sinistra che vuole imporre il suo piano politico, bensì come comunità che fa dell’anticapitalismo la sua “morale”, il suo programma massimo e che lo traduce oggi nel rinnovato impegno dell’autonomia dei comunisti nell’unità della sinistra.
Coraggio, compagne e compagni, siamo ancora al punto di partenza, ma non c’è nessuno – modernista o riformista che sia – che è giunto ancora all’arrivo. La corsa può ricominciare.

MARCO SFERINI

1° giugno 2015

foto tratta da Pixabay

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