Si è uniti solo se si vuole la vera alternativa

La nostra Costituzione ci ha abituato, in qualche modo e chi più e chi meno, nel corso dei decenni dal suo divenire fondamento del diritto italiano e legge prima...

La nostra Costituzione ci ha abituato, in qualche modo e chi più e chi meno, nel corso dei decenni dal suo divenire fondamento del diritto italiano e legge prima dello Stato repubblicano, ad osservare la divisione dei poteri e a non immaginare una soluzione unica che potesse un giorno mettere fine allo spazio pneumatico, alle intercapedini legali che erano state poste a protezione dell’equipollenza proprio delle diverse strutture di gestione controllo dell’intero apparato statale.
Negli ultimi anni, invece, questa garanzia, questa certezza, questa sicurezza è venuta sempre meno e abbiamo potuto osservare come lo sdoganamento dell’intangibilità delle sezioni costituzionali relative ai singoli poteri della Repubblica sia diventato terreno privilegiato per quelle che vengono ipocritamente spacciate come “riforme” e che invece sono esattamente il contrario: sono controriforme. Lo sono perché riportano lo Stato italiano verso un governo sempre più forte e centrale nel ruolo di esecutore delle leggi e sempre più presente nelle decisioni parlamentarie che non dovrebbero essere in nessun modo influenzate dall’azione del governo.
Un esecutivo debole fa ricorso sempre alla fiducia parlamentare, ai decreti legge e ad ogni forma di esercizio delle sue funzioni che esce dal normale compito che gli è affidato secondo il dettame costituzionale.
Rischiamo così di esaurire velocemente il ruolo parlamentare della Repubblica e di vederlo ben presto sostituito con un ruolo governativo a garanzia di quella fantomatica ricerca della “stabilità” politica ed economica che tanto serve per giustificare le riforme e, a sua volta, garantire l’osservanza dei trattati internazionali che vincolano l’Italia al pagamento di debiti che non sono frutto del lavoro collettivo e singolare dei salariati, ma semmai delle scelte economiche dettate dalla grande finanza e dall’insufficiente investimento economico in materia di ammodernamento delle strutture produttive.
La privatizzazione dei settori economici strategici dello Stato ha condotto con sé la privatizzazione della politica: per questo il berlusconismo ha avuto terreno fertile di conquista non solo dei palazzi istituzionali, ma prima di tutto delle menti e degli interessi di ognuno di noi.
Ci siamo abituati lentamente ad un modello di vita basato non più sulla solidarietà sociale ma sull’egoismo individuale, sul rampantismo già nato sulle ceneri della Milano da bere, del craxismo decaduto e risorto con Forza Italia.
Uscire da questa spirale di deperimento della democrazia è, ogni giorno che passa, ogni voto che il Parlamento regala alle riforme pretese dal duo Napolitano – Renzi, sempre più complicato.
Servirebbe una presa di coscienza sociale e civile che inducesse la popolazione anzitutto a diffidare dei “salvatori della Patria”, dell’eloquio presuntamente simpatico dell’ex sindaco fiorentino e del giovanilismo ricercato per rinnovare e innovare la politica in senso lato.
Servirebbe quindi un ritorno ai fondamenti della Costituzione. Ma tutto questo oggi non c’è. E questo è un altro dato di fatto.
E’ inutile fare appello a forze che non nascono, non crescono e non esistono nella realtà che viviamo e che ci circonda. Per questo rifiuto da qualunque lato, da qualunque punto di visto, l’assunto che i comunisti siano abbarbicati a chissà quale settarismo quando difendono posizioni e quando invitano a lotte che sono sacrosante per una ripresa di un conflitto di classe, per la rinascita proprio di quell’orgoglio della povertà che deve necessariamente contrapporsi all’arroganza della ricchezza.
Non c’è nessun attaccamento ad alcuna forma di pauperismo in queste parole, ma c’è semmai la voglia di ritrovare quella coesione sociale che è stata frantumata perché inquinata con false speranze anche da una certa sinistra che è diventata col tempo sempre più “centro” e che oggi finge ancora di essere progressista.
Salvare i diritti dei lavoratori, tutelare e ampliare le garanzie sociali è il miglior antidoto anche per la salvezza democratica e per scongiurare la grande opera di manomissione delle istituzioni repubblicane che viene portata avanti dal governo sulla scorta delle direttive di Bruxelles.
Francamente non vedo chi potrebbe avere la pazienza di intraprendere un nuovo cammino in questo senso se non i comunisti, se non anche e soprattutto Rifondazione Comunista.
Che da sola non sia sufficiente e non basti è un dato di fatto tanto quelli che ho elencato fino ad ora.
Ma per fare della strada insieme occorre avere obiettivi determinati, precisi comuni: non si può procedere alla costruzione di una sinistra italiana nuova, unitaria, dalle forme che si vorrà farle prendere, se si prescinde dalla stretta unità su ciò che si vuole conquistare e su chi si vuole rappresentare.
Non c’è se e non c’è ma sulla difesa del lavoro e dei lavoratori. Così come non possono esistere compromissioni su punti altrettanto importanti come la difesa dell’ambiente, della salute e sul ruolo pubblico di settori che sono stati in questi quarant’anni tutti privatizzati e che ci hanno condotto all’oblio dello stato-sociale, privilegiando l’egoismo e l’individualismo liberista esasperato ed esasperante.
La rotta va invertita, a costo di sembrare anche fuori dal tempo. Ma l’anacronismo politico e sociale in una società così oggi trasformata è solo realtà che deve cominciare a crearsi uno spazio nel consenso proprio delle parti più povere e dimenticate da quel potere che fino ad oggi le ha spremute come delle arance e ne ha poi buttato le bucce in un angolo.

MARCO SFERINI

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