Ogni tanto nel linguaggio istituzionale e politico irrompe una parola che, nel bene e nel male, introduce un elemento di novità e di chiarezza su quanto accade, si agisce, si pensa. È stato il caso, per me, della «rottamazione» annunciata e disastrosamente praticata da Renzi.
La scelta di quel termine, pure accolto all’inizio con grande favore dal «popolo» del Pd che soffriva intensamente per l’inadeguatezza del «gruppo dirigente» del partito, sottintende una concezione poco umana della politica e del sistema di relazioni che la fa vivere, quando c’è, e risponde a criteri di riconoscimento, di scambio, di conflitto anche. Ma orientato a una qualche forma di finalità condivisa.
Ora per merito di una signora che abbiamo scoperto essere prefetta di Roma, ci è stato chiarito che un’operazione di polizia piuttosto violenta contro un gruppo di persone umane in una pubblica piazza può essere definita cleaning.
Traducendo dall’inglese – che assume un valore burocraticamente tanto neutro quanto performativo – vuol dire che non di un’operazione di polizia si trattava, con la complessità dell’uso legale della forza che ciò comporta, ma di un semplice, incontestabile lavoro di pulizia. Chi potrebbe non apprezzare che le nostre piazze siano ben pulite?
Cleaning ha molto in comune con l’italiano sgombero. Sembra che derivi dal latino cumulus – un mucchio di calcinacci, di rifiuti, di cose da eliminare – diventato nel tempo cumblus e cumbrus. E da qui ingombro. Si tratta di liberare uno spazio da cose che fanno ostacolo.
Va osservato che sui dizionari questi termini sono riferiti a oggetti inanimati, e solo secondariamente all’allontanamento di persone.
Ormai gli sgomberi, gli interventi di cleaning, si succedono con grande frequenza in molte città. Non bisogna fare di tutta l’erba un fascio, ma riguardano spesso realtà di iniziativa sociale, occupazioni di stabili inutilizzati da anni, ecc. A Roma da mesi sono aperte decine e decine di situazioni di questo tipo che riguardano anche importanti realtà culturali. Casi eclatanti li abbiamo visti recentemente a Bologna.
In genere c’è assai poca chiarezza sulle procedure di decisione e sulle finalità reali che portano ai cleaning. E questa è una bella contraddizione. Ci sono di mezzo proprietari privati e pubblici, o semi-pubblici, i Comuni, il governo e le sue diramazioni prefettizie, i magistrati, gli organi di pubblica sicurezza. Persino la Corte dei Conti: un’entità abbastanza misteriosa che induce gli enti locali a «mettere a valore» (monetario) gli immobili amministrati.
Che poi in quegli stessi spazi si possano produrre valori culturali e sociali (i quali hanno in fondo anche una dimensione economica) è cosa troppo difficile da calcolare per la burocrazia affascinata dalla supposta semplice razionalità anglofona.
«Mi rifiuto di mettere ordine in un porcile», Bertolt Brecht
Capisco che il desiderio di pulizia e di ordine cresca anche tra le fasce popolari che vivono varie forme di grave disagio. E non mancano realtà inquinate da criminalità, droga, atti di violenza. Tuttavia a me viene in mente l’affermazione di Brecht in un momento storico certamente più drammatico: «Mi rifiuto di mettere ordine in un porcile».
Ma il punto a cui volevo arrivare è questo: su tutto ciò – dai problemi dei rifugiati e dei migranti a quelli della vita culturale e associativa, giovanile e non, nelle città – la sinistra-sinistra ha qualcosa di significativo da dire, fare, proporre, alternativo al cleaning?
Sarò distratto ma in questi giorni non me ne sono accorto. Ho visto che si litiga sulle elezioni siciliane (con Alfano o senza Alfano?) e la cosa non mi ha appassionato.
ALBERTO LEISS
foto tratta da Pixabay