Un lunedì di fine agosto, rovistando tra l’immondizia scaricata quotidianamente sul web: il segretario cittadino di «Noi con Salvini» a San Giovanni Rotondo, Saverio Siorini, commenta su Facebook i recenti stupri di Rimini con un orrendo, e purtroppo per nulla originale, «ma alla Boldrini e alle donne del Pd quando dovrà succedere?». Poco dopo viene comunicata la sua espulsione dal movimento.
E ancora: Abid Jee, incredibilmente ingaggiato nel ruolo di mediatore culturale dalla cooperativa bolognese Lai-Momo, posta sul sito del Resto del Carlino un disgustoso «lo stupro è un atto peggio, ma solo all’inizio, poi la donna diventa calma e si gode come un rapporto sessuale normale». La cooperativa interrompe la collaborazione e apre un procedimento disciplinare.
I miasmi fuoriescono dalla rete, il cortocircuito è immediato, il mix tossico di sessismo e razzismo schizza rapido nelle vene degli esponenti della destra più becera che in preda a esaltatazione si scagliano contro chi? La presidente della camera Laura Boldrini, ancora lei. Gli esponenti maschi che proprio non riescono a sopportare di vederla sullo scranno più alto di Montecitorio. Ma questa volta si distinguono soprattutto le femmine.
Ecco Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia: «Lo chiedo da donna, da madre e da cittadina: veramente Laura Boldrini, la donna che ricopre il più alto incarico della Repubblica Italiana, non ha nulla da dire sui gravissimi stupri di Rimini commessi da un branco di vermi magrebini? Veramente, in nome della difesa ideologica dell’immigrazione di massa, è disposta ad accettare la violenza sessuale come un ’male necessario’ del multiculturalismo?».
Gli strupratori di Rimini potrebbero essere «maghrebini». Potrebbero. Ma per Giorgia Meloni è l’occasione per associare il termine «vermi» non a «strupratori», ma a «maghrebini», appunto. Il«mediatore culturale» allontanato della coop è un immigrato pachistano. Laura Boldrini è la «paladina degli immigrati». Equazione semplice semplice: non avendo espresso la sua opinione né sugli stupratori né su Abid Jee, di fatto sta coprendo tutti loro.
Boldrini – che certo non può essere ritenuta distratta rispetto alla violenza di genere – l’immondizia del web se la trova continuamente scaricata addosso, come ha fatto il salviniano pugliese. Ma nessuno – dei salviniani di «rango», Matteo Salvini compreso – si è sentito di doverle delle scuse. No, tutt’altro. È diventata di nuovo il bersaglio e allora c’è da chiedersi chi copre chi, dietro lo schermo allestito con solerzia da un gruppo di donne: non solo Meloni, ma anche la forzista Daniela Santanchè, che non si lascia certo pregare quando si tratta di menare le mani, e la vicecapogruppo della Lega alla camera, Barbara Saltamartini. Esponenti politiche di primo piano che, ammantandosi di un’indignazione non «buonista» né «femminista», per carità, per la violenza subita da altre donne, non fanno altro che aizzare una canea razzista e misogina che sembra non trovare più argini.
«Stiamo toccando il fondo, siamo alla degenerazione del dibattito politico», dice giustamente la presidente della camera, intervistata dalla giornalista di Repubblica Alessandra Longo. E aggiunge che «chi è a capo di un partito politico o di un movimento, se apre la strada a tutto questo ne porta anche la responsabilità».
Sulle parole di Giorgia Meloni arriva un’interrogazione del capogruppo di Sinistra italiana-Possibile a Montecitorio, Giulio Marcon: «Gli hater del web possono essere contenti di avere arruolato una nuova adepta: Giorgia Meloni», commenta. Trasecola anche il centrista Maurizio Lupi: «Vermi magrebini? Ma la Meloni si rende conto di che cosa dice? Perché poi chiamare in causa politicamente la presidente della camera?».
Intervengono poi le deputate dell’intergruppo parlamentare per le donne, i diritti e le pari opportunità che «stigmatizzano con fermezza una subcultura che istigando all’odio e alla violenza, minaccia la convivenza civile nel nostro Paese». L’allontanamento di Siorini dal movimento Noi con Salvini, affermano le parlamentari, «non è una reazione sufficientemente energica. Serve una presa di distanza da parte di chi dirige quel Movimento, che condanni, senza se e senza ma, tanta brutalità». E «altrettanto sconcertante è la dichiarazione di Giorgia Meloni. Lo stupro è un reato gravissimo sempre e comunque, a prescindere dalla nazionalità di chi lo commette», concludono.
I vertici leghisti, lungi dal prendere le distanze, rinfocolano: «Ogni volta che tace la Boldrini per me è solo positivo, ma quello che non accetto è il silenzio suo, come di tutte le donne della sinistra, sul commento del mediatore culturale», insiste Roberto Calderoli. Conclusione: «Mi sarei aspettato che le donne, soprattutto quelle della sinistra, scatenassero la rivoluzione».
Un invito, quest’ultimo, che in effetti non andrebbe fatto cadere nel vuoto.
MICAELA BONGI
foto tratta da Pixabay