“Non preoccupatevi, stiamo organizzando gli squadroni della morte e nel giro di due giorni riportiamo la normalità… Quattro taniche di benzina e si accende il forno crematorio, così non rompono più“.
Succede anche questo… Che l’ormai ex coordinatore della Protezione civile di Grado si esprima in questi termini parlando della rivolta dei migranti in quarantena nel centro di accoglienza, l’ex caserma “Cavarzerani. Ripreso nell’edizione nazionale de “la Repubblica“, il signor ex coordinatore fa marcia indietro, si scusa sempre su Facebook. Dopo poche ore scompare la sua foto dal profilo e dopo qualche altra ora scompare proprio il profilo. Un giusto sentimento di vergogna?
Perché le scuse non si possono sempre accettare e se si pronunciano frasi che avrebbe potuto dire un qualsiasi nazista a capo di un campo di sterminio, ci si deve anche attendere la reazione sconcertata e indignata di – si spera – milioni di persone che conservano una certa umanità.
Dice che era un momento di rabbia e che ha scritto “senza pensare“. Come se anche questo, ammesso che sia così, non fosse grave.
Perché mai scrivere senza pensare dovrebbe essere sempre una giustificazione? Perché la rabbia porterebbe al depensamento, ad escludere la razionalità dai concetti che si esprimono?
Quando si è arrabbiati si dice proprio ciò che si pensa. E’ da sfatare il mito della rabbia come alibi per frasi o gesti che sono al di fuori della “volontà” e del pensiero personale. Ciò che si dice, lo si pensa. Sempre. Soprattutto quando la rabbia elimina quei filtri che altrimenti impedirebbero di essere completamente sinceri.
Le frasi scritte contro i migranti sono inqualificabili, ma il modo di esprimersi, in un italiano non certo grammaticalmente e sintatticamente corretto, ci dice che probabilmente detto signore non ha nemmeno tutti gli strumenti per comprendere fino in fondo la gravità di quanto ha scritto e che è stato giustamente stigmatizzato da giornali e siti web di importanza nazionale.
(m.s.)
Foto di Willi Heidelbach da Pixabay