Senza bocciature! Viva la scuola che non lascia nessuno indietro

Sono sempre stato un acerrimo nemico dei voti scolastici. Non penso si possa misurare l’intelligenza con una numerazione frazionata o “tendente al…”: 5, 5 al 6, 4, 4 e...

Sono sempre stato un acerrimo nemico dei voti scolastici. Non penso si possa misurare l’intelligenza con una numerazione frazionata o “tendente al…”: 5, 5 al 6, 4, 4 e mezzo. Per questo ritengo le valutazioni estese, scritte e ponderate dagli insegnanti, un modo per approfondire meglio la complessità di ogni singolo alunno, di ogni studente.
In mezzo a tante notizie che riguardano la politica politicanteggiata di queste ore e che mi riservo di commentare a breve, trovo interessante uno strillo di giornale dove si dice che su Change.org sta ricevendo centinaia e centinaia di consensi una petizione che si rivolge al Parlamento proprio in merito ad un comportamento scolastico da parte istituzionale: assumere come regola nella scuola elementare l’eliminazione della possibilità della bocciatura.
Togliere, quindi, la “retrocessione” dello studente per demeriti scolastici.
Penso sia un grande passo avanti per una nuova concezione non solo del rapporto scuola – alunno – società, ma per far finalmente avanzare l’idea che la conoscenza può sottrarsi al giudizio e che può diventare parte integrante dell’individuo lentamente, senza costringere tutti alle marce forzate dell’istruzione.
Si può anche “rimanere indietro”, ma non per questo si deve sempre considerare questa insufficienza una lacuna colposa. Esistono anche ritardi di apprendimento dovuti a fattori emotivi, a vera, reale, concreta difficoltà di comprensione di concetti, di schemi e proposte di acquisizione del sapere che possono riguardare una materia piuttosto che un’altra.
L’abolizione della bocciatura nella scuola elementare può diventare un primo importante passo per ridefinire il ruolo della scuola pubblica nel nostro Paese: una grande conquista di civiltà. Concepire, finalmente, l’istruzione come formazione e non come un dovere da eseguire a tutti i costi.
Un diritto di cui tutti i cittadini dovrebbero usufruire: ma questo diritto deve poter essere libero. Anche di essere rifiutato. E, infatti, oggi il rifiuto scolastico è ampio e indotto da condizioni economiche delle famiglie, da condizioni sociali che innestano una competizione tra gli studenti che sfocia, sovente, nel bullismo e nella gara a chi è “meno sfigato”, unendo capacità intellettive inferiori a quelle di altri con disagi sociali.
Quanti figli di lavoratori, di disoccupati, di precari sono costretti a lasciare la scuola anzitempo e a vedersi negato il diritto all’istruzione? Troppi.
Ma anche “pochi” sarebbe una risposta indecente, impronunciabile per una Costituzione, per una Repubblica come la nostra, dove la scuola è uno dei pilastri dell’esercizio democratico per la formazione completa dei cittadini nella quotidianità della vita sociale.
I veri ostacoli per l’acquisizione individuale del sapere, per essere delle persone con una piena consapevolezza critica della vita, di tutto ciò che ci accade intorno ogni giorno, sono quei voti dati in base ad un mancato approfondimento del carattere singolo dello studente che è sempre effetto di molteplici cause.
Sullo sfondo della vita scolastica si stagliano tutti i disagi e le controversie che i ragazzi vivono dentro ad un mondo fatto di stereotipi, di pregiudizi e di giudizi: sempre e solo dita puntate contro, mai una mano tesa, un momento di ascolto, una trasformazione del “giudizio” in attività di avvicinamento tra chi già conosce e chi deve ancora conoscere.
Ricordo quando il rapporto tra insegnanti e alunni era ancora visivamente espresso dall’alto in basso con le cattedre poste sopra la pedana. Non era concepibile che chi impartiva (il verbo era d’obbligo quando si trattava di descrivere il ruolo dell’insegnamento, la sua intrinseca funzione: ordinare di studiare. Quindi, impartire un ordine) i dettami dello studio, i compiti in classe e quelli da fare a casa, fosse un gradino più in alto di coloro che aveva davanti.
In molte scuole si fanno saggi esperimenti di condivisione del sapere: ci si mette in circolo, come nei college americani. Si fanno praticamente delle “sedute” di conoscenza, scambiandosi collettivamente intuizioni, errori, incertezze e sicurezze.
Così cresce, come nell’antica Grecia, il sapere genuino: quando si camminava, si stava all’ombra dei giardini e si studiava ascoltando quei maestri che non erano sicuri di nulla e che lo dichiaravano apertamente. E quella era la vera sapienza, la definizione di una umanità consapevole dei propri limiti: uguali per tutti. Un sapere, quindi, accessibile a tutti e vissuto come partecipazione complessiva della gioventù all’alto momento della doppia crescita: morale e intellettuale, oltre che fisica. Non il mondo scolastico militarizzato dove gli alunni che sono sempre stati obbligati ad alzarsi in piedi quando entrava il preside e mai quando entrava un bidello.
Si è inculcato il senso del rispetto per l’autorità, mai per il lavoratore al servizio dell’istituzione pubblica o privata che fosse.
L’abolizione della bocciatura, se sarà approvata da una legge parlamentare di riforma del sistema scolastico elementare, sarà buona cosa. Nessuno rimane mai veramente indietro se una società non assume come elemento costitutivo di sé stessa una finta eguaglianza dei diritti legata alle strategie economiche del mercato, ai privilegi che concede e alle tante disperazioni che crea.

MARCO SFERINI

16 febbraio 2017

foto tratta da Pixabay

categorie
Marco Sferini

altri articoli