Si incontreranno per la prima volta venerdì pomeriggio, al quartier generale del Parco dei Principi ai Parioli, i neoeletti in parlamento del M5S. Si tratta di 221 deputati e 112 senatori, anche se queste cifre conteggiano anche i candidati che sono stati eletti ma che per diversi motivi (dall’appartenenza alla massoneria alle mancate restituzioni dello stipendio) sono stati espulsi in via preventiva: sono all’incirca una decina. Un personale politico in gran parte da scoprire. «C’è da studiare quella che, con un’espressione che a loro non piacerebbe, chiamerei la ‘classe dirigente’ grillina» riflette Mattia Diletti, che insegna scienza della politica alla Sapienza. «In alcuni casi – prosegue Diletti – un pezzo viene da professioni ben precise. Ad esempio, tra Anzio e Nettuno sul litorale romano tanti provengono dalle forze dell’ordine. E’ evidente che il profilo di molti di loro è perfettamente adatto a quello di un quadro di partito. In altre epoche starebbero nei partiti, adesso stanno nel M5S. La considero una reazione fisiologica al blocco della politica tradizionale». La nuova fase è particolarmente delicata. «Devono sopravvivere all’istituzionalizzazione – dice ancora Diletti – Se ci riescono, è cambiato davvero il quadro politico. Solo Renzi, puntando tutto solo su comunicazione e potere bruto, è riuscito a dilapidare un patrimonio elettorale in così poco tempo».
Diletti sottolinea la questione del vincolo del doppio mandato, che impedisce la creazione di una classe dirigente. «D’altra parte, se vi rinunciano, cade una bandiera, forse l’ultima del M5S delle origini».
Questa faccenda rimanda ad una questione concreta, legata al fattore umano, che si è palesata con la questione dei rimborsi. «È facile abituarsi ad un tenore di vita più alto: si accendono mutui, si cambia regime di vita». Tutti i partiti europei che si sono presentati alle elezioni per la seconda volta, magari dopo un exploit simile a quello del M5S di cinque anni fa, poi hanno avuto una battuta d’arresto. Loro invece crescono di sette punti. Ma adesso viene il difficile: «Sarà banale dirlo ma è la realtà: governare è complicato – dice Diletti – Fare una legge di bilancio significa avere la possibilità di accontentare decine di gruppi di interesse cambiando un solo comma. Stare in un ministero vuol dire avere potere di firma e autonomia decisionale». Al di là della promessa dell’orizzontalità e della trasparenza assoluta, Diletti si concentra più sull’altro lato dell’enigma pentastellato, quella del controllo dei vertici: «Come gestiranno in questa fase la leva del potere centrale?».
Di classe dirigente, istituzionalizzazione e consenso parliamo anche con Vittorio Mete, ricercatore in sociologia dei fenomeni politici all’Università di Firenze. «Il M5S affronta il problema che hanno avuto tutti i partiti di fronte ad una crisi di crescita, pensiamo a Forza Italia che prima si appoggiò alla struttura di Publitalia e poi dovette inventarsi una classe dirigente o a Di Pietro che si è ritrovato in casa personaggi improbabili – afferma Mete – Ho incontrato diversi eletti dei 5 Stelle. Alcuni erano obiettivamente competenti, altri erano personaggi senza arte né parte, che non erano riusciti a diventare consiglieri comunali ma si sono ritrovati in parlamento». Tra i grillini si ribalta lo schema dei partiti tradizionali, secondo cui ci si metteva alla prova nelle amministrazioni locali e poi si approdava al parlamento. «Il voto locale spesso non premia il M5S, c’è una differenza forte tra i piccoli collegi della amministrative, dove ci sono i voti di preferenza e si sceglie in base ad interessi specifici, e le elezioni nazionali».
Per Mete, la sfida è al contrario quella di mettere radici, «riuscire a regolare gli interessi su scala locale». Cosa niente affatto scontata, perché nonostante i voti ai 5 Stelle «la struttura della società è sempre quella, non penso che le persone smettano di chiedere al politico eletto un aiuto per una visita specialistica o per una pratica burocratica». Ecco perché considera il consenso avuto ancora «fragile»: «È una sfida enorme, quella di mettere insieme candidati affidabili che abbiano relazioni sul territorio. Non ti inventi un candidato da zero. Qualche anno fa intervistai un esponente del M5S emiliano che mi disse: tra di noi nessuno vuole fare più il consigliere comunale, puntano tutti al parlamento». Anche Mete, come Diletti, ricorre ad un paragone col renzismo: «Capita anche a partiti tradizionali di premiare i seguaci catapultandoli direttamente in parlamento: il personale politico renziano è stato scelto in questo modo, in seguito ad una velocissima crescita bisognava cercare persone affidabili».
GIULIANO SANTORO
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