Se un hamburger val bene tutta la vita sul pianeta

Il letto del Po si vede tutto quanto. Inizia ad essere arido sotto un sole che, letteralmente, spacca le pietre, fa rattrappire la vegetazione, mostra alla sabbia nuovi percorsi,...

Il letto del Po si vede tutto quanto. Inizia ad essere arido sotto un sole che, letteralmente, spacca le pietre, fa rattrappire la vegetazione, mostra alla sabbia nuovi percorsi, mentre la sete dei campi, dei sapiens e degli altri animali non umani inizia a bussare alla porta dell’emergenza idrica conclamata.

Il letto del grande fiume è come una riga malferma, scritta da mani incerte che non sanno come risolvere un nuovo cataclisma, che si scontrano con le prerogative inevitabili del mercato, con la legge dei grandi numeri degli affari, degli scambi commerciali, delle produzioni che devono per forza produrre se vogliono continuare a mantenere i profitti ai livelli concorrenziali nuovi, dopo una pandemia mai veramente finita del tutto.

E’ un giugno anomalo dal punto di vista meteorologico; lo è anche da altri punti di vista, perché la guerra imperversa, gli invii di armi anche e la pace viene affidata al tentativo di far entrare l’Ucraina dalla finestra della UE prima che dalla porta davanti a cui fanno anticamera tutti quegli Stati balcanici che protestano – e giustamente – perché sono oltre dieci anni che aspettano.

Intanto fuori non piove, l’umidità imperversa per le vie e le strade delle città, spacca le ossa, appiattisce le menti, rende tutto meccanicamente faticoso, rallentando anche le più semplici operazioni quotidiane, peggiorando le condizioni di sopravvivenza di molta parte della popolazione: anziani, asmatici e chiunque soffra di patologie che vengono ancora curate da una sanità che non si sa bene quanto potrà rimanere pubblica con l’autonomia differenziata che il governo, congiuntamente con una parte delle Regioni, porta avanti.

A regnare su tutti questi fenomeni è un egoismo quasi ancestrale, una abitudine consolidata al ritenere prevalente la volontà del più forte e a farne fondamento etico. E pazienza se l’amoralità del mercato non coincide con i bisogni sociali, con la tutela dei beni comuni, con la preservazione del patrimonio umano, animale e ambientale che siamo e in cui viviamo.

Chi si permette di contravvenire ai dettami del capitalismo liberista moderno finisce con l’essere tacciato di lontananza da un pragmatismo rigoroso, da una seria e accurata attenzione ai fatti, di ideologismo comunista, di fantasmagoricità.

Non piove abbastanza. Anzi, proprio non piove. Per niente. E siccome l’acqua salata non è adatta a dissetarci e ad irrigare i campi (a meno di costose procedure di desalinizzazione, per cui il gioco della produzione agricola non vale più la candela…) o le piante e tanto meno per lavare le automobili e le moto, ne consegue che la crisi idrica ci riguarda proprio nella moderna complessità delle vita di tutti i giorni e non ci risparmia nessun momento della nostra giornata.

Ma l’acqua, che dovrebbe servire fondamentalmente a mantenere in vita l’ecosistema del pianeta con tutti gli esseri che lo abitano, finisce per la maggior parte nei consumi di grandi industrie per produzioni chimiche, per allevamenti intensivi di animali che finiscono sul mercato delle carni, della grande distribuzione alimentare e che, ad oggi, sono tra le principali cause tanto di consumo energetico quando di inquinamento atmosferico.

Se stiamo iniziando a vivere, almeno in Italia, la peggiore crisi dell’acqua da settant’anni a questa parte, questo è dovuto ad una economia mondiale e locale che sfrutta ogni bene ambientale per la produzione di generi alimentari del tutto superflui ma che sono utili ad una enorme catena di affaristi che hanno fondato sull’onnivorismo spinto le fortune dei loro enormi conti bancari e del loro azionariato.

La siccità distrugge i raccolti, impoverisce qualunque coltura e aggrava ancora di più lo sfruttamento del suolo da parte di chi è interessato soltanto a produzioni massive. Spesso, proprio coloro che rifiutano un tipo di dieta alimentare diversa dall’alternativa naturale vegetariana e vegana, criticano ad esempio la coltivazione della soia sostenendo che in realtà costringerebbe ad un maggiore consumo di acqua rispetto alle produzioni di carne bovina, suina e ovina.

Dimenticano però di dire che la stragrande maggioranza della soia coltivata viene data agli animali negli allevamenti intensivi: nel 2000 erano 175.000 le tonnellate della pianta leguminosa destinate alla produzione di farina destinata agli animali da macello.

A vent’anni di distanza questa cifra è salita a 350.000 tonnellate. Segno che in brevissimo tempo l’industria alimentare si è espansa, ha puntato molto sul consumo delle carni e ne ha fatto prodotti di larghissima diffusione attraverso le catene di fast food, aumentando di conseguenza lo sfruttamento di tutte le materie prime che servono per produrre, ad esempio, un hamburger.

Un hamburger, appunto. Per farne uno del peso di 150 grammi, quindi una porzione tipica da mettere in mezzo al pane con insalata e salse, servono 2.350 litri di acqua: quella che praticamente ognuno di noi consuma in circa tre anni. E’ sostenibile tutto questo? Basterebbe moltiplicare queste cifre per il consumo annuale di carni nell’intero pianeta per rendersi conto di quanto dovrebbe piovere ogni giorno per permettere un sostanziale equilibrio tra costi della produzione e consumo.

Ma quello che conta sono i profitti e davanti alla possibilità di sfruttare qualunque energia naturale per accumularne sempre di più non c’è morale che conti, non c’è etica che valga, non c’è autocritica possibile. Perché un regime economico non può autolimitarsi se è votato all’accumulazione, se questo è il suo DNA, la sua intrinseca natura.

Tocca a tutte e tutti noi mettergli un freno e poi anche uno stop definitivo prima che sia la natura a provvedere.

Il caldo anomalo di questo giugno afoso si riversa sulle nostre di carni, quelle che non mangiamo perché non siamo antropofagi, e si riversa sulle carni degli animali non umani, fa soffrire centinaia di migliaia, anzi milioni di esseri viventi che nei grandi allevamenti intensivi vivono senza il rispetto di nulla: né del loro vero tempo di esistenza naturale, né del loro stato di salute, né degli spazi che dovrebbero poter avere per non essere continuamente stressati.

Ma ciò che è già stato deciso debba essere abbattuto, ucciso senza alcuna remora per solleticare il gusto di miliardi di persone, può avere ancora un valore e far provare empatia a chi governa la grande macchina produttrice dell’industria alimentare carnivora?

Mentre il 75% della soia coltivata nel mondo viene destinata alle aziende che ammazzano altrettanti miliardi di animali ogni anno, i sostenitori della normalità dell’onnivorismo rimproverano a noi vegetariani e vegani di proporre una via d’uscita da questo impoverimento strutturale del pianeta, da questa progressiva inedia che ci coinvolgerà presto se non cambieremo i nostri conti col clima, con l’ambiente, con la natura tutta.

Caldo e sete sono le manifestazioni oggettive, evidentissime di una alterazione del rapporto tra l’ecosistema e l’uniformità antropocentrista del liberismo che continua a mettere al di sopra di ogni altra conseguenza pratica la sopravvivenza esclusiva della specie umana rispetto alle altre, sacrificando queste ad ogni tipo di sudditanza, sforzo, fatica e completo asservimento fino alla morte.

Se il Po oggi è in secca, per la legge del villaggio globale, quindi per la legge del caos e della società fluidissima della grande modernità merceologico-profittuale, è anche a causa dell’acqua destinata alla produzione di hamburger reclamizzati come fonte di energie e di solidità muscolare, come perfetto equilibrio dietetico per i giovani virgulti che devono mangiare alla moda, come tutti. Con pochi euro.

Perché il costo di un pezzo del corpo di una mucca sembra davvero poco in quanto a pasto quotidiano. Ma l’impatto che avuto sulla casa comune della mucca e nostra è enormemente insostenibile.

Se abbiamo troppo caldo e se non potremo lavare la macchina, bagnare gli orti e magari pure razionare l’acqua alla sera facendoci la pure parsimoniosa doccia rispetto al bagno, sarà anche colpa di ciò che mangiamo e dei nostri comportamenti che diamo per scontati.

Se vogliamo sopravvivere, e se vogliamo farlo all’ombra di una nuova etica antispecista, anticapitalista ed ecosocialista, nel pieno rispetto di tutti gli esseri viventi, dobbiamo rovesciare questa economia devastante e disastrosa: iniziando a farlo dal modo in cui ci nutriamo. Per la nostra salute, per gli animali tutti e per Gaia.

MARCO SFERINI

24 giugno 2022

foto: screenshot

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