Se l’ultimo turista è francese e si chiama Sartre

"La regina Albemarle o l’ultimo turista", un volume di Jean-Paul Sartre edito dal Saggiatore

Nell’Italia dei primi anni ’50, in parte da rabberciare dopo i disastri della guerra, una voce-nuova per i vocabolari è la parola «turismo». Si progetta di tutto per aprire il paese al futuro, ma il turismo sembra proprio l’ultima cosa cui si possa pensare. Eppure Jean Paul Sartre decide di compiere un viaggio in Italia. I luoghi che visita sono quelli canonici: Napoli, Capri, Roma, Venezia. Riempie di annotazioni fogli di fortuna e taccuini. Che verranno riordinati per un libro edito da Gallimard nel 1991. All’uscita in Italia, oltre vent’anni fa, segue ora l’edizione de Il Saggiatore dal titolo La regina Albemarle o l’ultimo turista (pp. 189, euro 21). L’ultimo turista è lo stesso Sartre (compie un viaggio di fine stagione), mentre Albemarle è il nome di una sovrana mitica che rimanda al mondo interiore. È in Italia, paese dalle città millenarie, che il filosofo francese viene a cercare la sua regina.

GIUNTO A ROMA nel 1951, si reca dall’amico Carlo Levi. Lungo il tragitto osserva tram senza passeggeri transitare in piazza del Gesù (dove abita Levi), vuota di passanti, dove prospettano chiese altrettanto vuote di fedeli. Stesso scenario desolato arrivando in taxi a via Veneto, «la via degli stranieri ricchi». Ma di forestieri che sfoderino il loro lusso non si vede ombra in strada: «si nascondono negli alberghi», annota sul bloc-notes. E allora l’ultimo turista si rifugia nella chiesa dei Cappuccini e si ritrova, disgustato, in un cimitero di scheletri ordinatamente esposti nelle bacheche.

Più che cogliere le contraddizioni sociali e la situazione generale in cui versa un popolo e una nazione usciti a pezzi dalla guerra (elementi che pur non sfuggono al filosofo politicizzato), Sartre si ritrova immerso nelle città di pietra: ammira la loro storia, i resti archeologici, le architetture, le opere del Rinascimento. Fa il turista a tutto tondo. Specie quando approda in Laguna, riscoprendo l’antica nobiltà del camminare e il pedone «si abbandona a una voluttà dimenticata».

VENEZIA ATTRAE e intimidisce. Ne azzarda il raffronto con una metropoli moderna come New York, pianificata secondo uno schema ortogonale che consente di vedere fin da lontano le auto correre lungo strade rettilinee. Che non trasmettono inquietudine; a differenza di Venezia che «conserva misure e velocità cinquecentesche» e, da città labirintica qual è, può celare l’imprevisto all’angolo di una calle. Sartre compie incursioni nei santuari della pittura veneziana: le Gallerie dell’Accademia, la Scuola di San Rocco, la Basilica dei Frari. È lì che il turista indossa i panni del critico e i fogli dei taccuini si tramutano in un trattato sulla ritrattistica del Tiziano e le vedute prospettiche del Tintoretto.
I taccuini del turista si chiudono con riflessioni di carattere politico-geografico relative all’intero paese. A riprova delle peculiarità urbane, che da secoli hanno determinato contrapposizioni fra città, in Italia non è mai esistita la provincia, diversamente dalla Francia con la centralità dirigistica di Parigi sul resto del territorio.

FEDERICO CARTELLI

da il manifesto.info

foto tratta da Wikimedia Commons

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