Se la legge elettorale diventa essenziale per la democrazia

La situazione politica italiana, in base all’esito referendario e alla scelta assunta dal PD di formare il governo Gentiloni si trova di fronte ad un bivio molto pericoloso: passare...

La situazione politica italiana, in base all’esito referendario e alla scelta assunta dal PD di formare il governo Gentiloni si trova di fronte ad un bivio molto pericoloso: passare dal regime personalistico al governativismo autoritario.

In passato, nella storia d’Italia, sono stati attraversati momenti di spaccatura profonda nella realtà sociale e politica, da quella tra interventisti e neutralisti nel periodo della prima guerra mondiale alla quale seguì la dicotomia fascismo/antifascismo, per buona parte quasi come conseguenza naturale della precedente (il passaggio di Mussolini da un campo all’altro, esempio evidente di trasformismo, risulta decisivo sul piano dell’analisi storica della frattura fascismo/antifascismo).

Dicotomia fascismo /antifascismo che dopo aver attraversato vent’anni di dittatura rappresentò il fondamento ideale della Resistenza antifascista, il momento più alto moralmente e politicamente dell’intera storia d’Italia in un Paese dove non si è verificata la rivoluzione protestante e neppure quella borghese.

Nel dopoguerra un effetto molto forte su di un periodo di vita politica abbastanza significativo ebbe la divisione tra partito della fermezza e partito della trattativa al momento del rapimento Moro, con la linea della fermezza utilizzata politicamente quasi a significare la necessità di una rottura del sistema: quindi ben oltre il suo senso originario.

Oggi, all’indomani del referendum del 4 Dicembre, apparentemente si presenta la possibilità di un’analogia in questa “logica della spaccatura” tra partito del Sì e partito del No. Attenzione, perché le cose stanno diversamente. Limitiamo l’analisi al quadro istituzionale.

Il tentativo fallito da parte del SI’ è stato quello di modificare assieme la Costituzione e la legge elettorale soprattutto dal punto di vista della forma parlamentare della Repubblica al fine di codificare formalmente il regime personalistico che attorno al gruppo dirigente del PD (mai legittimato da un’elezione popolare) si era formato per effetto e completamento della torsione antidemocratica portata avanti, grazie ad un processo di esasperazione della personalizzazione della politica, dal governo di centro destra nella sua ultima fase tra il 2008 e il 2011.

Torsione antidemocratica che era stata accentuata dalla scelta della Presidenza della Repubblica di dar vita a un governo, nel novembre 2011, che escludeva qualsiasi combinazione parlamentare attraverso una manovra davvero al limite della costituzionalità repubblicana. La risposta delle elettrici e degli elettori nel referendum è stata quella di un massiccio diniego di legittimazione del regime personalistico. Una risposta così secca e netta al punto da provocare una crisi di governo alla quale è stata fornita una risposta almeno egualmente inquietante dal punto di vista delle sorti democratiche del Paese, almeno quanto quella che intendeva fornire il regime personalistico.

Egualmente da parte di settori politici che hanno sostenuto il NO, oltre al manifestarsi di un improvvisato Aventino parlamentare, si è aperto il fronte al riguardo della richiesta di voto immediato dimostrando l’urgenza di impadronirsi del voto referendario per trasformarlo nella rampa di lancio per l’ascesa al governo.

E’ emersa, in sostanza, una sorta di smania governativista, espressasi nelle ore immediatamente seguenti il voto del 4 Dicembre. Una smania arrivata al punto da ostentare addirittura un’indifferenza un po’ dilettantesca circa la formula elettorale da adottare in previsione di questo “voto subito”.

Da parte di questi settori politici si è fatto finta di dimenticare, in quel frangente, che il sistema è praticamente privo di formula elettorale per entrambi i rami del Parlamento: per quel che riguarda la Camera dei deputati, infatti, è pendente il giudizio della Corte Costituzionale che si avrà dopo il 24 Gennaio; per il Senato i sagaci legislatori del regime personalistico, non prevedendo la possibilità di una loro sconfitta, addirittura non ci si è pensato per nulla.

Il tema della legge elettorale, come si cercherà di descrivere nel seguito di questo intervento, non è affatto un tema di pura materia istituzionale staccato dalla realtà concreta delle opzioni di politica economica e sociale che interessano direttamente la grande massa delle elettrici e degli elettori.

Il sistema elettorale è il cardine del sistema politico. Per questo motivo la frattura più importante in questo momento è proprio attorno al nodo della formula con la quale saranno tradotti i voti in seggi parlamentari.

E’ necessario che prendano posizione quella parte di settori politici, sociali, di movimento che hanno espresso milioni di voti per il NO (milioni di voti legati a precise posizioni politiche e sociali) e non appartengono agli schieramenti direttamente interessati a scalare indiscriminatamente e con qualsiasi mezzo le posizioni di governo portando in dote posizioni facilmente identificabili come di stampo populistico.

Una posizione che individui nella formula elettorale proporzionale il discrimine che consente di eludere il drammatico dilemma che si sta presentando in questo momento sulla scena tra regime personalistico (quello appena sconfitto nel referendum) e governativismo autoritario (quello che intende strumentalizzare lo stesso esito a fine di un’improvvisata escalation di governo).

Non si tratta di esprimerci in una forma meramente politicista.

Legare la formula elettorale proporzionale alla centralità del Parlamento e dei consessi elettivi a tutti i livelli deve significare l’aggregazione di uno schieramento democratico nella ricerca dell’espressione più ampia delle soggettività e delle sensibilità politiche rappresentative delle istanze sociali in grado di presentare le istanze più urgenti nei settori popolari: lavoro, stato sociale, uguaglianza.

Il tutto sta avvenendo all’interno di un quadro generale di riclassificazione complessiva degli equilibri politici a livello internazionale, con l’arretramento della globalizzazione e il profilarsi di una possibilità di nuovo contratto di divisione delle sfere d’influenza tra le superpotenze e di recupero di un’idea dell’agire politico legato al radicamento territoriale superando l’universalismo della “democrazia del pubblico”.

Temi sui quali riflettere partendo da una rinnovata strutturazione e definizione d’identità delle soggettività politiche a tutti i livelli: forse non era vero che i concetti di destra e sinistra si stessero sfumando in reciproci moderatismi fino a quasi scomparire.

FRANCO ASTENGO

redazionale

15 dicembre 2016

foto tratta da Pixabay

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