Nella corso della lunga vita della nostra Repubblica, è accaduto più volte che quelle garanzie costituzionali, scritte per tutelare tanto la libertà tanto del singolo parlamentare quanto quella delle Camere stesse, abbiano subito una sorta di mutazione, finendo per somigliare al loro esatto contrario: degli indebiti privilegi.
I pentastellati li aggettiverebbero come “di casta“; molto più semplicemente sono riferibili a qualunque forza politica abbia cercato di mantenersi in equilibrio a discapito di quello che, ormai un po’ retoricamente (per l’ironia suscitata dal contrasto con la realtà politica e sociale del Paese), viene tirato spesso, e inopportunamente, in ballo: il “bene comune” o, se volete, l'”interesse nazionale“.
Del resto esiste un “governo di salvezza nazionale“, che dovrebbe proprio essere la quintessenza di questo precetto: l’unità per affrontare le difficoltà che coinvolgono tutte e tutti. Ma anche questo è un aspetto di ipocrisia della modernità della politica.
Ed è pure un ennesimo tranello in cui precipita la buona fede di chi viene indotto a ritenere che, per cause di forza maggiore, tutte le grandi questioni che hanno diviso per decenni destra e sinistra, grillini e forzitalioti, democratici e leghisti, si possano appianare in un sincretismo di dicotomie che è difficilmente spiegabile se non con l’incubo di arrivare al voto col cerino acceso in mano.
Lo scavalcamento del crinale del semestre bianco, pertanto, non è più una garanzia di evitamento di ingerenze di un potere nei confronti di un altro potere (della Presidenza della Repubblica nei confronti del Parlamento); per lo meno, non è solo più quello che costituzionalmente dovrebbe essere, visto quanto era anelato dalle forze di maggioranza nel contesto politico interno, dalle istituzioni europee sul piano estero.
I prossimi sei mesi, in cui il Presidente Mattarella non potrà più sciogliere le Camere, saranno ciò che rimane della riffa giocata tra presunti moderati di sinistra e veri estremisti di destra: tutti insieme appassionatamente nella condivisione degli antisociali disvalori liberisti per garantirsi un posto al sole nella corsa delle elezioni politiche del 2023.
Ammesso che non si faccia ricorso all’anticipo della fine della legislatura, dopo due anni di pandemia, dopo cambiamenti davvero epocali nella ristrutturazione economica tanto della malandata economia italiana quanto dei riassetti di politica continentale con uno sguardo alle nuove amministrazioni americane e alla potenza cinese che non smette di crescere.
A rischiare di uscirne ammaccati sono le forze progressiste (se ancora questo aggettivo ha un senso quando si parla di partiti come il PD che sposano senza battere ciglio tutti i “suggerimenti” europeisti in materia di politica economica) che non hanno più una marcata fisionomia, una riconoscibilità, se non immediata (un po’ dal chiaro e rimpianto sapore ideologico di un tempo nemmeno troppo lontano) quanto meno visibile come epifenomeno da quinta teatrale.
Infatti, una delle caratteristiche che permette alle destre sovraniste di salire nelle quotazioni elettorali e nel favore interclassista di cui godono, è, nonostante la compromissione con l’unità nazionale draghiana, la capacità di sapersi smarcare al momento giusto e recuperare un terreno che non è mai del tutto perso: per tanti dimagrimenti sondaggistici che possa subire, la Lega gareggia ancora con Fratelli d’Italia, mentre la crisi di nervi dei Cinquestelle fa a gara con quella esistenziale del PD.
Il panorama politico del semestre bianco rischia di trasformarsi in uno spauracchio nero per un Paese dove la risposta alla crisi pandemica viene esclusivamente dal fronte liberista: per questo parlare di “progressismo“, od anche soltanto di “tenuta della democrazia” nella contrapposizione tra “peggio” e “meno peggio“, rischia di divenire una mitomania autoreferenziale che ognuno di noi finisce per raccontarsi con una inerzia della critica disarmante.
E’ la tentazione psicotica di sfuggire all’inevitabile (una vittoria delle destre alle elezioni politiche future): un destino vissuto come ineludibile, che sarebbe invece marginalizzabile se si aprisse una breccia nello schieramento multilaterale draghiano, nel fideismo europeistico-liberista e si dicesse chiaramente alla gente che nessuna privatizzazione può fare l’interesse comune; che nessuna riforma della giustizia siffatta garantirà una migliore amministrazione dei delitti e delle pene; che il sostegno ai brevetti sui vaccini da parte della maggioranza di governo è quanto di più lontano vi possa essere rispetto al rilancio di una vera sanità pubblica e gratuita.
Invece, PD, Articolo Uno, per non parlare di pentastellati e renziani, con leggere differenziazioni non fanno che tenersi in equilibrio sui princìpi antisociali di una economia di mercato omicidiaria per le classi più disagiate; mentre litigano su questioni che sono tipicamente “sovrastrutturali” e che, non per questo meno importanti, determinano la qualità di vita di ognuno di noi, sommandosi alla “quantità” di vita che ci viene sottratta dalle politiche liberiste.
Cosa augurarsi, dunque, nel “dopo-semestre bianco“? Che al Quirinale resti Sergio Matteralla, distinto, formale, rispettoso del galateo istituzionale e della sostanza costituzionale (pur nel gran concerto con Mario Draghi nel melodramma riformatore di questi ultimi mesi)? Oppure che le forze politiche puntino su un tertium rispetto ad una ministra Cartabia che, oggettivamente, non è più cosi unanimemente gradita dopo la presentazione della sua riforma della giustizia? O che, altro scenario, salti fuori dal cilindro magico proprio Draghi, sottraendolo al suo impegno nell’esecutivo? Sarebbe di più una garanzia per la UE ancora a Palazzo Chigi o di più sul colle più alto della Repubblica?
I giochi, se non sono fatti, sembra comunque che siano già iniziati da tempo. Una cosa pare fondamentale: evitare che la Presidenza della Repubblica e quella del Consiglio dei Ministri finiscano nella mani delle peggiori destre del Paese. Tuttavia, ribadiamolo: non rassicura nemmeno che finiscano per essere merce di scambio tra partiti e movimenti protesi alla mera sopravvivenza, ad un autoreferenzialismo che svilisce proprio quella democrazia per cui tanti dicono di volersi battere come nuovi partigiani.
Le bestemmie, come potete vedere, non sono solo quelle che riguardano la sfera religiosa…
MARCO SFERINI
3 agosto 2021
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