Bisogna fare un salto indietro di 25 anni, al 1999, per trovare un’altra elezione europea con il partito vincitore al di sotto del 30%. Come Fratelli d’Italia che si è fermato al 28,8%.

E questo malgrado la più alta astensione della storia abbia spinto verso l’alto alto le percentuali di tutte le liste più forti.
Venticinque anni fa eravamo all’inizio del ciclo berlusconiano, Forza Italia vinse allora le elezioni europee senza stravincere, ma proprio in quella occasione il Cavaliere fece segnare il record di preferenze personali (tre milioni) mai più battuto, neanche da Meloni lo scorso fine settimana.

Dal 1999 in poi, nelle quattro elezioni europee successive, la prima lista è sempre andata oltre la soglia del 30%: lo ha fatto l’Ulivo di Prodi nel 2004 (31%), il Popolo delle libertà di Berlusconi nel 2009 (35,3%), il Pd di Renzi nel 2014 (40,8%) e c’è riuscita anche la Lega di Salvini nel 2019 (34,26%), sempre con percentuali di affluenza alle urne superiori a quella registrata in questo 2024.

Bisogna aggiungere che nel caso degli ultimi due precedenti, dunque negli ultimi dieci anni – 2014 e 2019 – il partito vincitore nel passaggio dalle politiche alle europee ha clamorosamente aumentato la quota dei suoi voti: sia il Pd che la Lega sono cresciuti di colpo di 15 punti percentuali. Invece Meloni l’8 e 9 giugno si è dovuta accontentare di un +3%, nemmeno pieno.
Inquadrata in questo modo, la «vittoria» di Giorgia Meloni, la più risicata degli ultimi 25 anni, appare assai meno netta di come l’interessata la stia raccontando.

Dal suo punto di vista c’è però un elemento positivo: gli elettori hanno assecondato la spinta bipolare che la presidente del Consiglio ha impresso alla campagna elettorale da quando si è scelta l’avversaria, Elly Schlein ovviamente. Infatti malgrado il sistema elettorale proporzionale con il quale si è votato sia quello che consente a tutti i partiti di misurare la loro forza senza alleanza obbligatorie, le scelte degli elettori si sono notevolmente polarizzate sui primi due partiti, Fratelli d’Italia e Pd, divisi alla fine da poco più di un milione di voti assoluti e poco meno di 5 punti percentuali.

Dietro i primi due, nessun altro partito è riuscito a raggiungere la soglia della doppia cifra. Si sono tutti fermati sotto il 10% e questo – che non ci sia cioè una terza forza oltre il 10% – è la prima volta che capita da quando ci sono le elezioni europee, cioè dal 1979.

Neanche i voti assoluti raccontano quella vittoria che Giorgia Meloni festeggia. In questo caso il calo dell’affluenza agisce al contrario di come fa sulle percentuali, alzandole. Abbassa cioè il numero totale di voti sui quali un partito può sperare. Eppure il fatto che dopo venti mesi di governo il partito della presidente del Consiglio, capolista ovunque, perda consensi, testimonia che l’entusiasmo si è quanto meno raffreddato.

L’argomento della presidente del Consiglio che ha dato la colpa del disinteresse all’Europa, regge fino a un certo punto dal momento che proprio lei ha chiesto un voto su se stessa e sul suo nome.

Fratelli d’Italia, raccontano i numeri, ha perso circa il 10% dei voti che aveva alle politiche, passando da più di 7,4 milioni a 6,7 milioni di voti. Settecentomila elettori persi per strada. E ha perso ovunque, in tutte e cinque le circoscrizioni. Soprattutto nelle isole, perché lì il calo dei votanti è stato il più alto, oltre il 28% degli elettori (e FdI ha perso il 24% dei suoi voti assoluti).

Ma ha perso anche nelle altre circoscrizioni, nel dettaglio quasi il 12% dei voti che aveva alle politiche al centro, il 6,3% di quei voti al nord est, il 5 e il 4 percento di quei voti al nord ovest e al sud.

Non così il partito democratico, penalizzato come tutti dalle regole diverse per il voto all’estero ma comunque capace di confermare i voti che aveva raccolto alle politiche 2022 (piccolissime variazioni: 5,6 milioni erano gli elettori del Pd e 5,6 milioni sono rimasti). La tenuta del partito di Schlein è omogenea in quattro circoscrizioni, guadagna addirittura qualche decina di migliaia di voti al nord est, al nord ovest e al centro.

Ne guadagna 200mila al sud, ma perde nelle isole a fronte di un crollo verticale dell’affluenza in quella circoscrizione. Comunque quella del Pd è stata una performance assai migliore rispetto a quella delle festante Meloni. Ma non migliore di quella dell’Alleanza Verdi e sinistra che in un colpo solo ha aumentato i suoi voti del 50%, passando dal milione di voti assoluti di settembre 2022 al milione e mezzo di voti scrutinati ieri. Effetto Salis.

ANDREA FABOZZI

da il manifesto.it

foto: screenshot tv