«In Italia, come in Europa milioni di cittadini sembrano nuovamente pronti a scambiare le loro prerogative democratiche contro una falsa promessa di protezione e sicurezza illiberale e anti-democratica». È un passato che interroga incessantemente il nostro presente quello che Antonio Scurati ha scelto di indagare attraverso un lungo scavo – una trilogia dedicata alla storia del fascismo di cui ha pubblicato il primo capitolo, M. Il figlio del secolo (Bompiani, pp. 838, euro 24) che prende in esame il periodo che va dalla fondazione dei Fasci di combattimento a Milano nel 1919 all’assassinio di Giacomo Matteotti a Roma nel 1924. Un libro importante, un romanzo che dando voce ai protagonisti di quella stagione, a cominciare da Mussolini, e ricostruendo centinaia di episodi e decine di figure sembra illuminare di una nuova consapevolezza un capitolo decisivo della storia italiana. Ponendo interrogativi che più che i fascisti di allora, riguardano la società italiana. Di ieri come di oggi.
Scurati, cosa significa per un romanziere raccontare Mussolini e la nascita del fascismo? Cosa l’ha spinta in questa direzione?
Significa osare qualcosa mai osato prima. Soprattutto, significa fare i conti con il rimosso della coscienza collettiva, il fascismo come una delle matrici dell’identità nazionale e farlo attraverso una nuova narrazione popolare e inclusiva, secondo la vocazione della forma romanzo. Mi ha spinto la convinzione che, dopo la caduta storica della pregiudiziale antifascista, un romanzo su Mussolini fosse possibile e, quindi, necessario proprio per rinnovare le ragioni dell’antifascismo.
«M» si presenta come un «romanzo documentario» nel quale ogni elemento «è storicamente documentato e/o autorevolmente testimoniato da più di una fonte».
In principio mi ero consegnato a questo criterio rigoroso e costrittivo per ragioni etico-politiche. Volevo evitare il rischio di una eroicizzazione involontaria della figura di Mussolini e dell’arbitrio insito nella libera invenzione. Sembrava un percorso ad handicap ma poi si è rivelata una chiave credo molto efficace per un tipo di narrazione innovativa proprio rispetto alla forma romanzo. Il narratore si muove come un regista, come l’artista che nella contemporaneità fa le cornici più che i quadri. La selezione dei materiali, e il loro montaggio, risulta decisiva. Rifiutando un marginalismo alla moda, ho scelto di raccontare gli accadimenti principali e i personaggi principali. Ma anche partendo da questo presupposto, mi sono ritrovato a narrare vicende e personaggi in gran parte ignoti.
…continua a leggere su il manifesto.it…
GUIDO CALDIRON