Scuole chiuse in zona rossa, si torna in Dad

Il Dpcm che entrerà in vigore da sabato sei marzo e durerà fino al 6 aprile prevede la sospensione dell’attività didattica in presenza in tutte le scuole a partire...

Il Dpcm che entrerà in vigore da sabato sei marzo e durerà fino al 6 aprile prevede la sospensione dell’attività didattica in presenza in tutte le scuole a partire da quelle dell’infanzia e le elementari nelle zone rosse. Solo gli alunni portatori di disabilità e con bisogni educativi potranno frequentare in presenza. Per le zone arancioni e gialle il governo riconosce ai presidenti delle regioni la facoltà di disporre l’interruzione dell’attività scolastica in presenza nelle zone in cui vi siano più di 250 contagi ogni 100mila abitanti nell’arco di 7 giorni. Il ministro della Salute Speranza ha ipotizzato chiusure localizzate a livello «subregionale». Questo sembra essere il caso dell’Emilia-Romagna dove, a febbraio, dagli asili nido alle superiori sono stati registrati 6.080 casi di contagio da Covid tra bambini, ragazzi, insegnanti e personale. Per la Regione si trattati un aumento del 70% rispetto alle quattro settimane di gennaio.

La scelta dei criteri, è stato detto dalla neoministra agli affari regionali MariaStella Gelmini (Forza Italia) è stata il risultato di una serie di tensioni con i presidenti di regione che ha portato a questo compromesso. «La chiusura delle scuole è previste solo nelle zone rosse ed è un provvedimento eccezionale» ha detto Gelmini. Nelle zone di diverso colore, invece, «le Regioni hanno chiesto un parametro uniforme e il parametro lo abbiamo individuato». Quanto alla variante «inglese» che si diffonderebbe con i più giovani, Gelmini ha detto che «è chiaro che c’è un problema legato alle varianti che non si acuisce nei bambini ma crea una problematica nel contagi». Gelmini ha aggiunto che «è lasciata una discrezionalità ai governatori sui contagi nei loro territori». Ed è sui limiti di questa «discrezionalità» che si continuerà a discutere. Alcuni presidenti avevano chiesto al governo di decidere. Altri sono critici perché il criterio per abitante penalizza chi fa più tamponi. Polemico il sindaco di Bari e presidente Anci Antonio Di Caro: «Le uniche misure di restrizione sembrano riguardare le lezioni in presenza, mentre si elimina il divieto di asporto per tutti dopo le 18, favorendo così di fatto gli assembramenti. Così non va».

«Il governo non cambia rotta perché chiude sempre le scuole per prime. E peggiora la situazione perché le chiude tutte indistintamente. La chiusura delle scuole continua ad essere usata come compensazione rispetto all’apertura di tutto il resto – afferma Costanza Margiotta, docente di filosofia del diritto all’università di Padova, attivista del movimento “Priorità alla scuola” – Il problema è considerare la scuola un servizio essenziale, rispettare i protocolli, organizzare i trasporti e procedere a una vaccinazione di massa e uniforme. Cosa che non sta avvenendo. Ci sono studi sulle varianti, compreso quello dell’ISS, che affermano che l’incidenza è la stessa o meno forte nella popolazione dei minori, ci sono altri che dicono invece il contrario. Ma il virus circola anche con le scuole chiuse e tutto il resto aperto ».

«La discrezionalità delle regioni nella chiusura delle scuole dovrebbe essere stata resa meno discrezionale. Si può ipotizzare che il presidente della regione Campania De Luca, e altri, dovrebbe riaprire le scuole se tutta la regione non rispecchia il tasso di positività stabilito. Se invece ci sono aree dove c’è quell’incidenza allora potrà farlo. Una recente sentenza del Tar del Lazio ha detto che il governo non può più chiudere le scuole senza dati specifici. Nel nuovo Dpcm il governo ha trovato un escamotage: la chiusura delle scuole è stata collegata al tasso generale dei contagi nella società. Ora che hanno stabilito la nuova regola va capito cosa succederà nelle aree dove il personale docente è già vaccinato. Sarebbe opportuno che le scuole restassero aperte. Questo vale per la Campania ha un’alta percentuale di docenti vaccinati, come la Toscana o il Lazio. Per un ente locale questo potrebbe essere un criterio da valutare se chiudere o no. Altrimenti si potrebbe dare il caso per cui, pur avendo vaccinato nelle prossime settimane il personale, le scuole continueranno ad essere chiuse».

Continua la campagna social contro il ritorno alla didattica a distanza. Priorità alla scuola prepara una mobilitazione il 26 marzo per chiedere che il Recovery fund sia investito diversamente, a partire dalle ingenti risorse stanziate per la scuola e ricerca. Nello stesso giorno i Cobas hanno indetto uno sciopero nazionale con manifestazioni locali e chiedono, tra l’altro, di ridurre a 20 il numero gli alunni per classe; assumere con concorsi per soli titoli i docenti con 3 anni di servizio e Ata con 24 mesi.

Ieri a Napoli il movimento «Usciamo dagli schermi» ha organizzato la prima giornata di disconnessione dalla Dad con lezioni nel Bosco di Capodimonte. La protesta, a cui seguirà un’altra venerdì, è scattata dopo il ritorno in Dad di tutte le scuole fino al 14 marzo. «Per noi la scuola è a scuola e non è certo sostituibile con simili iniziative né tanto meno con la Dad – sostiene Ananda, tra le rappresentati del gruppo – La Dad non ha prodotto risultati didattici, di apprendimento ed è stato necessario riprendere il programma lì dove lo avevano lasciato quando la scuola è stata chiusa. Sappiamo che il rischio zero non esiste e ci assumiamo tutte le responsabilità anche perché il livello di sicurezza nelle scuole, come noi genitori abbiamo potuto sperimentare in queste settimane di didattica in presenza, è più che soddisfacente nonostante tutte le difficoltà del momento».

Per Save the children gli studenti delle scuole medie a Napoli hanno fatto lezione in presenza 42 giorni su 97 mentre quelli di Roma sono stati in presenza per 108 giorni. Dall’analisi emerge che gli studenti hanno frequentato per meno della metà del previsto quest’anno. I bambini delle scuole dell’infanzia a Bari, per esempio, hanno frequentato 48 giorni sui 107, a Milano sono stati in aula per 112 giorni. Per quanto riguarda le scuole superiori, i ragazzi e le ragazze di Reggio Calabria hanno potuto partecipare di persona alle lezioni in aula per 35,5 giorni contro i 97 del calendario, i loro coetanei di Firenze sono andati a scuola 75,1 giorni su 106. Dati destinati a peggiorare con la nuova situazione epidemiologica.

ROBERTO CICCARELLI

da il manifesto.it

foto: screenshot

categorie
Politica e societàScuola di lotta

altri articoli