Scuola, cambiare rotta con urgenza

La firma di qualche settimana fa da parte del Ministro dell’Istruzione, sul decreto che dà l’avvio alla sperimentazione dei licei in 4 anni, con le prime 100 scuole che...

La firma di qualche settimana fa da parte del Ministro dell’Istruzione, sul decreto che dà l’avvio alla sperimentazione dei licei in 4 anni, con le prime 100 scuole che hanno aderito e che potrebbe fare da apripista ad un modello esteso a tutti gli istituti secondari superiori, è stata una non-notizia.
La definisco così in quanto la misura si presenta in perfetta continuità con le politiche squisitamente di destra portate avanti dagli ultimi esecutivi: il processo di riduzione degli spazi di condivisione di un percorso, dei tempi della formazione, del significato dell’ apprendimento e delle prospettive della conoscenza nel nostro Paese, continua inesorabile, applicando i medesimi modelli neoliberisti (vedi laurea breve) che hanno portato l’Italia a sprofondare nella barbarie culturale e valoriale (oltre che economica) che colpisce lo scenario sociale che quotidianamente viviamo.
Si tratta di un intento di diminuzione “complessivo” del sistema-scuola del nostro Paese: le decisioni politiche che da un decennio riguardano il settore non sono cioè atte a stravolgerne “solo” un asse portante, ma piuttosto sono orientate ad imporre alla società un ripensamento della funzione che l’istruzione deve assumere.
In questo senso è sintomatica la scelta dell’ accentramento di poteri al dirigente scolastico con conseguente riduzione delle prerogative degli organi di rappresentanza: elementi, questi, che irrompono con prepotenza nello scenario odierno, dove si rende necessaria una riflessione sul rapporto tra democrazia nelle scuole e governance delle stesse.

In questo contesto, il dato dell’aumento degli abbandoni scolastici fa da apripista a quello del crollo delle immatricolazioni negli atenei, come conseguenza logica di quel definanziamento lineare che sta a dimostrare la precisa volontà di un generale depotenziamento del comparto.
Arrivati al culmine di questo processo, il governo quindi si propone di ridurre di un anno la scuola secondaria, congestionando l’offerta didattica in 4 anni con un aumento delle ore annuali, introducendo per la supervisione non meglio precisati comitati scientifici e modificando i piani di offerta formativa.
Il tutto curiosamente accade senza sfiorare il nodo evidentemente cruciale e squisitamente politico: quello del rifinanziamento organico e strutturale al mondo dell’istruzione, dal punto di vista qualitativo della didattica e da quello logistico-infrastrutturale, senza andare a ripensare il ruolo dei saperi ma anzi rilanciando su una visione “flessibile” della formazione, sempre più considerata “mezzo a fine”, cioè elemento strumentale alla costruzione di una generazione da formare sulle regole dell’efficienza e della produttività, una generazione che si concentri sulla competizione più che sulla competenza. In sintesi la “rivoluzione 2.0” della scuola del terzo millennio, secondo i sapienti governanti, dal punto di vista della valutazione si deve tradurre in un progressivo aumento di spazio ed influenza ai test Invalsi, plastica dimostrazione della volontà di omologare e standardizzare i saperi e la conoscenza, appiattendone funzione e significato.

Dal canto nostro, la ferma contrarietà a questo progetto è in realtà la radicale convinzione che la scuola si debba riappropriare della sua dimensione costituzionale intesa come garanzia di emancipazione, di autodeterminazione, di sviluppo di pensiero critico.
Oggi continuare a rivendicare una scuola necessariamente inclusiva, inevitabilmente pubblica, e fortemente laica significa lottare al contempo per una scuola attenta: attenta a non lasciare indietro nessuno, attenta e concentrata sul proprio ruolo – centrale – in una società sempre più priva di riferimenti e di modelli culturali.
Una scuola che non diventi semplice meccanismo asservito ad una logica esclusivamente valutativa ed “aziendalizzata”, ma che sia un composto di percorsi che abbiano la capacità e l’ambizione di valorizzare i territori e i contesti socioeconomici in cui si pone, le esperienze di chi la vive, le differenze che la attraversano.
Oggi la necessità impellente è quella di un sistema di istruzione che abbia gli strumenti per affrontare le contraddizioni di una società così diseguale, così recessiva, così iniqua; un sistema che oggi non può permettersi di essere il laboratorio di misure che mirano ad un contingentamento dei tempi, sacrificati in nome di efficienza e profitto.
E’ ora di cambiare rotta, con urgenza.

FILIPPO VERGASSOLA
Esecutivo Nazionale Giovani Comunisti/e, Responsabile Scuola e Università

foto tratta da Pixabay

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