Aprendo la direzione del Pd, Matteo Renzi ci prova a sviare l’argomento dolente. Però non ci riesce. Il capitolo alleanze, che tra le righe significa legge elettorale, rispunta fuori indomato perché Dario Franceschini non si piega e lo rimette in campo, poi Andrea Orlando rincara e batte sulla necessità di allearsi con Giuliano Pisapia. Lo stesso presidente Matteo Orfini non può evitare la questione e concede che di queste cosette si debba pur parlare. Così, nella replica, il segretario accetta la sfida e va giù esplicito. Le coalizioni, quelle invocate dai ministri della Cultura e della Giustizia, «sono un regalo al centrodestra» e comunque «io non passerò i prossimi mesi a parlare di coalizioni». Se nega accordi futuri con Forza Italia – «semplicemente non esiste» – insiste in compenso sul fatto che le regole, cioè la legge elettorale, devono essere scritte insieme.
Tanto era stato felpato nella relazione introduttiva, altrettanto Renzi passa al martello nella replica. Alla lancia spezzata da Orlando a favore del sodalizio con l’ex sindaco di Milano risponde a muso duro: «Capisco che voglia aiutare Pisapia. Io invece voglio aiutare il Pd». Poi vibra la mazzata: «Orlando dice: ’Non potete chiederci di rinunciare alle nostre idee’. Però non chiedetelo nemmeno a noi che abbiamo vinto il congresso».
Il segretario furioso non risparmia una freccia avvelenata rivolta alla vasta area di pressione che, dall’esterno, lo assedia con il dichiarato obiettivo di forzargli la mano verso una legge elettorale maggioritaria: «Franceschini dice che nelle sedi di partito si può discutere di alleanze. C’è da chiedersi se Repubblica sia una sede di partito». Per la stoccata finale l’ex premier si affida al Cyrano della canzone italiana, Francesco Guccini: «Ognuno vada dove vuole andare. Ognuno invecchi come vuole invecchiare. Ma non venite a dire a me cos’è la libertà».
Per il momento, la direzione del Pd vuole invecchiare col suo segretario. La relazione passa all’unanimità. Le minoranze non votano. Franceschini, come già anticipato e nonostante le polemiche invece sì. Ma la speranza di arrivare alla pausa estiva con una tregua è sfumata. Lo scontro proseguirà, sotto traccia ma senza soluzione di continuità, fino a riesplodere quando sarà il momento di discutere l’eterna e maledetta legge elettorale.
Per evitare l’argomento più spinoso Renzi aveva davvero fatto il possibile, sino a rimangiarsi uno dei suoi fiori all’occhiello: le direzioni «trasparenti», visibili in streaming per tutti. Niente trasparenza stavolta, anzi il presidente Orfini in apertura ordina anche il blocco dei social: «Prego si evitino tweet e post». E niente chiacchiere su coalizioni sì o no, almeno fino a che la palla è stata nelle mani del segretario e della sua relazione introduttiva: «Quel dibattito interessa 350 persone». Si prepara una campagna elettorale lunga 10 mesi, e non la si può portare avanti con riflessioni che ai più sembrano astratte. Quindi: «Smettiamo di lamentarci e cominciamo a progettare», «Comportatevi da classe dirigente», «Utilizziamo il Pd come una finestra, non come specchio per riflettere su noi stessi».
Gli orizzonti vasti, le sfide epocali, sono sempre una via d’uscita onorevole per dribblare le miserie delle grane quotidiane. Ed ecco quindi non solo il vessillo dello ius soli, ma anche quello, più che mai attuale, del fronte europeo: «Dovremo chiarire le cose: approccio diverso sul deficit e veto sul Fiscal Compact nei trattati». Per gli oppositori interni, quelli a viso aperto e quelli mascherati, solo una stoccata: «La base costitutiva del Pd non è l’accordo dei capicorrente ma il voto di due milioni di cittadini alle primarie».
Ma se Renzi sperava che la polemica fosse spenta sul nascere si è dovuto ricredere appena Franceschini ha esordito con un secco: «Io sono uno di quei 350 che parlano di alleanze. Da soli non vinciamo: servono le alleanze». Poi a ruota libera: «Parlare di alleanze e legge elettorale non è un tradimento, non significa mettere in discussione il segretario. La comunità che ti ha scelto non ha rinunciato al pensiero o alla parola». A quel punto Renzi ha deciso di mettere da parte la diplomazia. Se le parole hanno un senso a settembre ci riproverà con la legge elettorale concordata insieme a Berlusconi.
ANDREA COLOMBO
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