La bandiera bianca della sconfitta sventola nel pomeriggio. Ha la forma di un post su facebook firmato Andrea Orlando che annuncia il quasi fallimento del suo tentativo di mediazione: «Dalla maggioranza ieri e oggi sono arrivati segnali importanti. È fondamentale che ne arrivino da subito anche dalla minoranza». La frase svela un pezzetto delle tante verità di queste ore: i margini di dialogo nel Pd sono zero anche perché stavolta la minoranza non fa passi indietro. Bersani, l’uomo che sembrava impossibile sradicare dal Pd («Non me ne vado, questa è casa mia», detta fino a poche settimane fa), si è caricato sulle spalle la responsabilità di provare a scalfire il muro di indifferenza della gioventù renziana, a partire dal segretario. Ieri ha incontrato il vicesegretario Lorenzo Guerini. Poi ha scritto una lettera all’Huffington Post. Ai renziani: «Fermatevi». In Transatlantico si è fatto vedere il ministro Franceschini, altro pontiere. Il presidente della Puglia Michele Emiliano svela un altro pezzetto di verità: «Solo Franceschini può fermare Renzi». Nella testa del leader la scissione fa rima con elezione, anticipata s’intende.
Il segretario ieri è rimasto tutto il giorno al Nazareno. Chi lo ha incontrato lo descrive a limare un ultimo appello per oggi. Ma senza cedere: per lui sarà «l’incomprensibile scissione sul calendario del congresso». L’ultima campagna contro i gufi è servita, grazie alle contraddizioni dei suoi avversari interni. Sui social circolano prese in giro contro Emiliano: che ha ancora sul sito la raccolta di firme per convocare il congresso. Era solo due settimane fa. Ora minaccia di andarsene perché Renzi ha convocato il congresso. Al «fermatevi» di Bersani replica il renzianissimo Andrea Marcucci: «Paradossale. Chiede a Renzi di fermarsi mentre è lui che sta lasciando».
Le crepe aperte nella maggioranza dalla proposta di Orlando, una conferenza programmatica per evitare la scissione, sono finite agli atti. Hanno detto sì Fassino, Martina, i Giovani turchi, Nicola Zingaretti. Ma la minoranza non si accontenta di «aperture» simboliche, gesti di cortesia, democristianate (ieri anche Dario Franceschini si è detto favorevole a un’idea di «stati generali»). Insomma non accetta «contentini», come li definisce con sarcasmo un dirigente del Nazareno. Ammesso che stavolta il trio Speranza-Rossi-Emiliano vada davvero fino in fondo. E che resti unito. Se Speranza parla di scissione «con la morte nel cuore» ma pronto al salto, il prudente Rossi nella giornata di mercoledì ha messo nel conto l’addio. Emiliano invece resta anche per i suoi compagni un oggetto misterioso.
La road map prevede l’assemblea al Teatro Vittoria di Roma, a Testaccio, linea grafica rosso vintage «rivoluzione socialista» come era stata pensata all’inizio dal presidente toscano per lanciare la sua associazione («democratici socialisti», notasi la sigla «Ds»). Domenica il terzetto andrà all’assemblea Pd al Parco dei Principi e presenterà un documento che proporrà di chiudere «la fase del renzismo» e di aprire la strada di «un nuovo centrosinistra». Sarà bocciato sonoramente: nella sterminata assemblea Renzi ha una maggioranza bulgara. Sarà il via alle manovre di fuoriuscita. A meno di colpi di scena. Difficili però da immaginare. Domenica, prima dell’assemblea Renzi parlerà con Orlando. Da lunedì fra i due è calato il freddo. I consensi che il ministro, in odore di candidatura, miete hanno fatto il resto. La fuoriuscita di un nutrito gruppo di ex ds per Renzi è la certezza che Orlando rinunci a correre.
Nell’agenda della minoranza la prossima settimana ci sono i numeri del parlamento. La «Ditta» conta fra i 25 e i 30 deputati e 20 senatori. Alla camera nascerà un nuovo gruppo il cui nome conterrà «centrosinistra». Si unirà – ai 16 (sulla carta) ex Sel. Che infatti saranno alla manifestazione di sabato (è stato invitato a parlare Massimiliano Smeriglio). E che a loro volta andranno a Rimini, al congresso di Sinistra italiana, a «congedarsi» dai compagni. Lo farà Arturo Scotto a nome di tutti. Scissione in sincro con quella del Pd, per gli ex vendoliani. Non priva di interrogativi e nodi da sciogliere. In parlamento il matrimonio con bersaniani e dalemiani è cosa praticamente fatta. Ma da Milano il ’frontman’ Giuliano Pisapia, sobriamente definito «il nuovo Prodi», si sarebbe convinto che per ora il suo «campo progressista» si debba tenere fuori dalle beghe del Pd.
Per questo ha voluto smentire la «notizia» di un suo incontro con Renzi a Milano, giovedì scorso. E a sua volta ha fatto circolare l’agenda degli incontri del suo viaggio londinese di questi giorni. C’è segnato il nome di Jeremy Corbyn, attuale leader laburista. E certo non un modello per il blairiano tutt’altro che pentito Renzi.
DANIELA PREZIOSI
foto tratta da Pixabay