Saremo più poveri, è certo. Ma anche senza una sinistra di alternativa?

Secondo quanto scrive il più autorevole organo di informazione economico-finanziaria di questo disgraziatissimo Paese, la congiuntura europea starebbe entrando in una nuova fase, ancora più recessiva rispetto a quelle...

Secondo quanto scrive il più autorevole organo di informazione economico-finanziaria di questo disgraziatissimo Paese, la congiuntura europea starebbe entrando in una nuova fase, ancora più recessiva rispetto a quelle che abbiamo conosciuto fino ad ora, dopo il biennio pandemico e, soprattutto, dopo l’ingresso nella moderna storia del Vecchio continente di una sorta di vecchia guerra fredda, di vecchio scontro bipolare.

Il Sole 24 Ore“, infatti, delinea uno scenario di retrocessione economica non solo per l’Italia ma, in quanto a produttività e, quindi, a capacità di competizione tra Europa ed altri continenti (e grandi poli finanziari), pure per Francia e Germania. La responsabilità sarebbe del caro energia e, ovviamente, dell’aumento del costo della vita, di quell’inflazione che nello Stivale sta oltrepassando l’11% e rimane tutt’altro che stabile nelle previsioni che riguardano i prossimi trimestri.

Basta recarsi non solo alle pompe di benzina per avere la certezza dell’aumento del costo dei carburanti, non solo aprire le bollette di gas e luce per procurarsi un arresto cardiocircolatorio, ma entrare in un supermercato e fare il paragone tra i prezzi che vigevano ancora soltanto pochi mesi fa e l’inizio di questo 2023.

Cambia la spesa degli italiani che, per buona fortuna di ovini, bovini, suini e pesci, mangiano sempre meno carne ma, purtroppo, sono costretti a frenare anche sul consumo delle verdure e della frutta, il cui prezzo finale, al consumatore, risente di una serie di aumenti che percorrono tutta la filiera agroalimentare.

Non c’è un comparto che si possa dire al riparo dall’effetto inflattivo che, giocoforza, si autosostiene e si implementa in un circolo vizioso il cui effetto finale, speculativo come nel caso dei carburanti e delle fonti energetiche, oppure sistemico come quello di numerosissimi prodotti di largo e quindi primissimo consumo, si indirizza inevitabilmente sulle magre risorse di una fascia di popolazione che precipita sempre più verso un neo-pauperismo endemico e strutturale.

Voci dal sen fuggite del Congresso degli Stati Uniti d’America parlano ai grandi quotidiani a stelle e strisce di un raggiungimento repentino del livello invalicabile del debito pubblico: pena la dichiarazione inevitabile di una recessione economica anche per Washington.

Gli ingenti quantitativi di armi forniti all’Ucraina, il sostegno dato in prima istanza alla NATO, tutte le garanzie di intelligence finanziate con i soldi pubblici, distratti indubbiamente da capitoli di spesa sociali, mettono gli USA nel paradosso di registrare un’inflazione piuttosto contenuta, in discesa su un +6,5% rispetto al gennaio 2022, a fronte di una crisi sociale in netto aumento.

L’Italia non è da meno: raggiunge il 2% del PIL nazionale in quanto a spesa militare e poi non ha le coperture per un taglio delle accise su benzina e gasolio che diventano un disvalore aggiunto, un’inevitabile tracollo di popolarità per il governo Meloni. Le contraddizioni del sistema si rivoltano contro i loro primi garanti.

I combinati disposti della crisi globale hanno effetti “locali” (molto più continentali che nazionali) su quelle che vengono tutt’ora definite le “tre locomotive” del pianeta: USA, Unione Europea e Cina. Diverso il ruolo comprimario di ambiti importanti come Russia, America Latina e parte del Medio Oriente dove le alleanze economiche fanno riferimento al legame antagonistico rispetto al primo mondo capitalistico-liberista, alla coalizione dei BRICS che lega a sé anche una parte importante dell’economia africana.

Il raffronto tra le diverse crisi in atto sul piano dello sviluppo delle singole potenze emergenti e il dato mondiale non lascia intravedere un miglioramento delle condizioni di oltre due miliardi e mezzo di salariati e di oltre un miliardo di persone considerate “povere assolute“, quindi impossibilitate ad accedere ai servizi minimi essenziali per una pure indecente sopravvivenza.

L’aumento dei prezzi al consumo, negli indicatori macroeconomici, viene dato in progressiva discesa nel corso del 2023 nel nostro Paese, contrariamente a quanto parrebbe di poter ipotizzare stando alle primissime settimane dell’anno appena iniziato.

Difficile anche per i grandi istituti di ricerca e per le università fare delle stime di più lungo termine, anche se i dati raccolti dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale – quindi dai primi guardiani della stabilità del liberismo globale – dicono che l’Italia, proiettandosi nel 2024, dovrebbe vedere ridimensionato il peso inflattivo dall’attuale stimato 8,2% ad un ottimistico 2,2%.

Molto più preoccupante è il dato prospettivo del tasso disoccupazionale, sempre nel quadro macroeconomico di una congiuntura di fattori che determineranno una crisi di lungo corso: se i prezzi vengono previsti in calo in un arco di tempo biennale, coloro che rimarranno al di fuori del mercato del lavoro (attualmente si tratta del 9,5% della popolazione attiva, per l’anno appena trascorso) sono destinate a rimanere tali per la maggior parte dei casi.

La previsione indirizzata sempre al 2024 fa scendere soltanto dell’1% il tasso di disoccupazione in Italia.

E’ un dato drammatico che deve allarmare per gli effetti che avrà sulla tenuta sociale ed anche democratica dell’intero Paese in una Europa dove avanzano le sirene del MES, dove il traino economico franco-tedesco tende ad esercitare una sempre maggiore egemonia sul resto dell’Unione, rischiando di far fallire nuovamente i bilanci di Stati che devono, oltre tutto, affrontare emergenze internazionali come quelle migratorie e che non vengono sostenuti in questo sforzo da una comune politica di gestione dei flussi.

Rimestando sempre nell’incertezza di dati che, tuttavia, delineano un futuro a brevissimo termine a tinte veramente molto fosche, il nostro Prodotto Interno Lordo dovrebbe quindi scendere da una crescita fissata ora sul 6,72% ad un 3% assolutamente insufficiente per sostenere i bisogni della sempre maggiore quota di indigenti che non potranno fare nemmeno più affidamento sulle briciole di sussidi come il reddito di cittadinanza.

L’unica misura di stampo sociale che era stata definita nel confuso calderone di proposte interclassiste dei Cinquestelle, è stata prontamente attaccata e ridotta all’inconsistenza dalla nuova fase reazionaria e conservatrice di una politica di governo improntata alla sola difesa del privilegio economico privato, del privato stesso. A tutto tondo.

Come è facile desumere da questo quadro globale di cifre e di confronti delle stesse, passando dalla macro alla microeconomia, ad una analisi forse minimalista ma, certamente, essenziale per comprendere i tanti piccoli mondi moderni in cui viviamo, il liberismo riverserà tutta l’importanza sostanziale della sua destabilizzazione sulle classi meno garantite, su quelle a cui oggi manca un vero e proprio argine da “stato-sociale“, una politica di stampo quanto meno socialdemocratica che tenti di fermare la prepotenza capitalistica.

Il presupposto del privato a svantaggio del pubblico, che ne erode quindi le necessarie qualità e quantità per potersi dire tale in ragione di una soddisfazione dei bisogni sociali e di una tutela dei beni comuni, sembra essere, almeno per i prossimi anni, il gergo colloquiale di un interclassismo messo lì come base strutturante di una entropia comunicativa verso le masse, tenute in stato di allarme dalle minacce delle migrazioni e delle guerre, distratte dalle vere, concrete ragioni della crisi globale e locale.

Anche questo è un compito che la sinistra di alternativa ha: scomporre la narrazione, rompere lo schema, disarticolare la finzione della sostenibilità di un sistema che non è riformabile, che non è contenibile ma soltanto superabile con il suo esatto opposto. La rifondazione comunista dentro una unione popolare è, in questo caso storicamente ormai dato, un processo di costruzione critica a più livelli.

E’ un indirizzo di politica fattiva che guarda al futuro e non alle icone del passato come modelli di gestione della crisi stessa. Lo studio, la conoscenza della nostra storia progressista e anticapitalista sono solo il presupposto imprescindibile per dare vita ad una nuova stagione di lotte in cui il protagonismo sia nuovamente di massa e leghi studenti e lavoratori, spesso già uniti dai maledettissimi vincoli del moderno schiavismo chiamato “precarietà“.

La sinistra deve riprendersi la bandiera della difesa di qualunque sfruttato, di qualunque discriminato, di qualunque debolezza di cui ci si approfitta per stabilizzare le crisi sistemiche del capitale. Non è più possibile lasciare questa rappresentanza a forze compatibiliste come il PD. Ed i Cinquestelle scelgano se essere una vera forza progressista, che abbandoni i tatticismi di piccolo corso, e stare con una opposizione netta tanto alle destre quanto al cosiddetto “centrosinistra“, oppure essere quel surrogato di moderatismo oggi non più interpretabile dai democratici.

Le sfide che ci stanno davanti farebbero tremare le vene i polsi persino a dei giganti della politica come vecchi partiti storici della “prima repubblica“: primo fra tutti, ovviamente, il PCI. Figuriamoci quanto possiamo sentirci inadeguati noi in un momento in cui siamo ridotti al lumicino. Soprattutto della partecipazione attiva, del confronto, dell’incontro, dello scambio diretto sull’oggi e sul domani.

Ma, se davvero crediamo di poter essere una parte del tutto, un elemento di condizionamento anche modesto di questa società per aiutarla ad indirizzarsi non sulla via del suicidio tutt’altro che assistito, allora abbiamo il dovere morale, civile e sociale di continuare a lavorare per l’unità di classe, per la coscienza della stessa, per il ricongiungimento delle divergenze e delle differenze.

Lavorare alla rifondazione del nostro essere comunisti oggi nell’unione popolare che, parrebbe, almeno per ora non essere uguale ai troppi esperimenti fallimentari del recente passato.

MARCO SFERINI

14 gennaio 2023

Foto di James Frid

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