Aspetti positivi
Lo dico all’inizio di queste righe, per evitare qualunque fraintendimento o sospetto peloso: lo spontaneismo civile, quindi la partecipazione collettiva a manifestazioni di massa “autoconvocate“, è un valore aggiunto per una società che spesso sembra appiattita sulle tastiere dei computer, energicamente attiva solo sui “social“, priva di una cultura che si rinnova di giorno in giorno, sovente passiva, recettiva e molto poco propositiva.
Considero quindi positivamente la pienezza delle piazze di Bologna e di Modena: migliaia di cittadini sono scesi in piazza per esprimere una contrarietà rispetto a quello che, giustamente, percepiscono come un pericolo per la democrazia, per determinati impianti di valori che la nostra Costituzione incoraggia tutelandoli e mettendoli a disposizione di ogni singola persona.
Che vi sia una reazione alla “reazione”, quella politicamente definibile come tale, quella che un tempo era sinonimo di conservatorismo all’ennesima potenza, virulento, violento verbalmente e violento materialmente, è un dato che deve poter essere considerato come elemento non utilitaristico a fini politicisti ma utile a sé stesso, alla socialità democratica che esprime e che mostra: una risposta decisa alla tracotanza delle destre sovraniste che appaiono come le truppe che vincono sempre e dovunque, inarrestabili, senza avversario alcuno.
Il problema, perché di problema si tratta, è che queste piazze sono prive (almeno in apparenza) di un referente politico ed anzi, scrivono sui loro manifesti e nei loro messaggi che non vogliono la presenza evidente e organizzata di nessun partito, che non vogliono dunque bandiere, simboli politici; non tollerano nulla, accettano solamente l’emblema della protesta: la sardina.
Non c’è, dunque, nessun soggetto politico cui si rivolgano se non per contrarietà: cantano “Bella ciao” ma, al contempo, negano ai partiti di potersi affiancare loro: il timore è ciò che dovrebbe essere naturale in politica e nella società e che Gramsci aveva scoperto dopo tanti studi. L’egemonia culturale. E quando si parla di ciò si intende riferirsi, naturalmente (nel senso proprio dell’avverbio), ad una proprietà politica insita in una cultura. A meno che non si proclami che cultura e politica devono viaggiare separate e che non è possibile per la cultura civile e sociale avere una sponda politica, creare la politica stessa e farne sviluppo per tutto il contesto nazionale.
I ragazzi e le ragazze di Bologna e Modena, le sardine, cantano “Bella ciao” e riconoscono in quella canzone forse l’unico punto di riferimento rivolto al passato: non guardano ad esempi politici collettivi. Magari ammirano Berlinguer e un certo PCI del tempo che fu, ma sull’oggi non si esprimono: probabilmente la risposta più comune di quelle piazze, se interrogate su come si esprimeranno alle elezioni regionali, sarebbe il voto così impropriamente detto e considerato “utile”. Il voto contro. Il voto non dato per convinzione ma per contrarietà.
Umani, gratuiti e artistici
Il voto contro la Lega, in sostanza, è l’unico collante di una mobilitazione che dice, testualmente dalla pagina Facebook delle 6000sardine di Bologna, di essersi ripresa “ciò che ci appartiene utilizzando mezzi che il populismo non conosce: la gratuità, l’arte e le relazioni umane“. A parte l’ultima riappropriazione, che è comprensibile e compresa nel buon senso socio-etico-politico di chiunque abbia assistito alla formazione e introduzione dei decreti-sicurezza (per fare un esempio non da poco), è singolare che questi ragazzi parlino di “gratuità” e di “arte“.
Vuol dire che sino ad oggi per loro la politica è stata appropriazione indebita di qualcuno nei confronti del popolo, della gente comunemente intesa al di fuori dei palazzi: così l’hanno vissuta, intuita, percepita come se gli sfuggisse dalle mani, proprio come un pesce appena pescato che, dibattendosi alla ricerca di ossigeno, o muore tra le mani del predatore “umano” oppure riesce a divincolarsi e a saltare di nuovo in mare.
La “gratuità” della partecipazione che si sono riprese queste piazze è fondamentale per uno sviluppo della democrazia in un futuro che appare sempre più incerto in tal senso e che sembra dirigere la propria prua sulle peggiori secche del sovranismo, dell’autoritarismo moderno che non sarà mai il fascismo propriamente detto ma che lo intende emulare per molti versi quando discrimina i migranti, quando ghettizza le differenze e le stigmatizza mostrandosi invece pietoso con i deboli purché siano solamente appartenenti alla gens italica.
L'”arte” invece mi ha lasciato un po’ perplesso. Si intende un recupero e una riappropriazione della cultura genericamente intesa? Una cultura forse schiacciata dalla pesantezza ingombrante del vuoto della banalità del male? La cultura messa all’angolo dalle grida, dalle urla, dai toni muscolari dei comizi e delle comparsate in televisione dove è sempre più difficile ascoltare un concetto correttamente e compiutamente espresso?
Pregi e difetti di un movimento che è presto per essere definito tale, ammesso che esista in Italia una fenomenologia (diciamo hegeliana…) di queste spontanee aggregazioni di massa che si compongono e si scompongono con la rapidità di pochi fulmini, che sembrano sovente fuochi di paglia, che si animano e si autoesaltano per disperdersi il giorno dopo nell’oblio più decoroso della storia che porta (o dovrebbe portare) giudizio.
Liquidità movimentista e neotrasformismo italico
Dai girotondi (che avevano un legame comunque cultural-politico con una certa sinistra, già moderata, ma l’avevano…) al popolo viola, dai grillini ai forconi, dai fridays for future alle sardine. Tutti grandi carrozzoni di protesta: nessuno di questi ha una piattaforma programmatica di classe. Nessuno sviluppa una critica senza se e senza ma al capitalismo. Vi si sono avvicinati i fridays for future, ma alla fine, passato il ciclone di Greta, ora restano solo gli echi delle manifestazioni.
La sinistra comunista in tutto questo dov’è? Che fa? Molto poco, quasi niente. Si lamenta, come faccio io in questo scritto. Ma anche il lamento, forse la critica, servono a migliorare e a prendere le distanze da chi scambia facili entusiasmi per nuovi fenomeni di rinvigorimento della coscienza civile, politica e, soprattutto, sociale.
Niente di tutto questo: le sardine sono solamente anti-salviniane. E vi pare poco? E’ vero: sono antileghiste, antisovraniste, antifasciste. E’ tanto in questa Italia alla deriva, vorticosamente avvolta dagli sproloqui sovranisti, dalla cattiveria e dall’odio, dalla crudeltà e da un nuovo razzismo che è la nemesi moderna di un fascismo che non può certamente ritornare nelle forme che conosciamo ma che si ripropone sempre con parole, atteggiamenti e nemici nuovi per distruggere proprio la coscienza di classe, l’acquisizione della consapevolezza di come si vive, di come si sopravvive.
Le “sardine” sono, dunque, un ennesimo insuccesso della politica politicienne (che non è un insulto…) che non ha la capacità di assolvere alla sua funzione storica: la sinistra comunista non fa presa su alcuna massa, ma sarebbe ingiusto e ingeneroso assegnarle la patente di responsabile dell’apatia di massa verso i valori di uguaglianza, giustizia sociale e libertà democratica.
Possono essere un nuovo tassello di una inquietante liquidità del pensiero, di un trasformismo delle posizioni che ci riporta ad una caratteristica politica tipicamente italiana: passato il dopoguerra e trascorsi i decenni in cui si erano formate coscienze saldamente ancorate ad ideologie (sì, le tanto vituperate ideologie!), quindi a visioni differenti della struttura e della sovrastruttura sociale ed economica, la mobilità dei rapporti tra le classi ha contribuito ad una mobilità anche nei pensieri e nella formazione dei medesimi.
La cultura singola è divenuta quindi espressione del singolarismo egoistico dei tempi: si spiegano così tutti i cosiddetti “sdoganamenti” di tabù e di vergogne che consentono oggi di dirsi impunemente “fascisti” e di rivendicare con orgoglio l’appartenenza al variegato mondo del razzismo e della xenofobia.
Comunisti, sinistra e “sardine“
Noi comunisti abbiamo commesso tanti errori, ma abbiamo anche fatto molte autocritiche in merito: alcuni li abbiamo individuati, riconosciuti e abbiamo provato ad estinguerli. Tra tutti l’arrivismo di chi da posizioni sempre più moderate vuole insegnarci il percorso del presente mentre si adagia in formazioni che accettano il punto di vista del mercato e che sono riformisticamente parlando il peggio del peggio: chi diventa così tende spesso a dire agli altri che sono settari, isolazionisti e che vivono nell’utopia.
Le “sardine” chiedono che la politica, in sostanza, non si intrometta nei loro “flash-mob“: che ne restino fuori simboli, bandiere… Un copione già visto anche questo, frutto di un odio anche comprensibile verso qualunque idea manifesta, esplicita, definita e ben individuabile. Bisogna essere “civili”, “società civile” e non la società “dei partiti“. Il nemico è, dunque, paradossalmente la funzione democratica dei partiti, ad essi affidata dalla Costituzione. Inconsapevole o meno che sia, il dato di fatto rimane.
Si vuole sostenere l’antifascismo, proteggere il Paese dal salvinismo e salvare la democrazia sacrificandone un pezzetto, impedendo a chi sostiene una idea di arrivare in quella piazza e manifestarla insieme a tutti gli altri: sarebbe bene che le sardine tenessero a mente che certe lotte si possono condividere da punti di vista molto diversi, quando anche non diametralmente opposti.
A cosa si arriva in questo modo? A considerare “civile” la società senza partiti? Così facendo si scende in piazza contro Salvini e si producono, poi, senza saperlo altri mostri…
E’ evidente che il Partito democratico veda in questa presa di coscienza popolare antileghista un terreno fertile per esercitare la campagna elettorale nel nome del “voto utile“. Proprio per questo le “sardine” farebbero bene a guardarsi dal chi hanno intorno in piazza senza bandiere. Molti sono coloro che hanno appoggiato politiche di disfacimento dello stato-sociale e che hanno ridotto il lavoro ad una variabile dipendente dal profitto privato. Molti sono coloro che sostengono l’ “autonomia differenziata” per l’Emilia Romagna così come la Lega la propugna per Lombardia e Veneto. Molti sono quindi di quel centrosinistra che viene “naturale” considerare avversario di Salvini e che invece ha aperto una strada enorme alla resistibile ascesa di costui.
Molti sono coloro che propongono un nuovo riformismo, dopo la scissione renziana di Italia Viva. Un riformismo, ha affermato Nicola Zingaretti, che rivoluzioni la società italiana. Pur avendo ben presente che esiste un oceano di differenze tra il concetto di rivoluzione che ha il segretario del PD e quello che abbiamo noi comunisti, la domanda – direbbe qualcuno – sorge spontanea: quale riformismo può essere, paradossalmente, “rivoluzionario” in Italia oggi?
Penso che non si debba lasciare sole le “sardine” nell’affrontare questi passaggi, questi interrogativi: soprattutto le generazioni più giovani che sono le più indifese nel contesto politico e sociale odierno, prive di punti di riferimento culturali che consentano l’accesso ad una certa idea della società stessa.
Ma penso altresì che si debba rivendicare il diritto alla democrazia a tutto tondo e che la rivalutazione dei partiti come strumento fine di costruzione della politica debba poter passare per un esempio: il nostro. Quello di chi non ha più intenzione di scendere a compromessi che sono sempre e solo finiti per disarticolare quei valori cui tenevamo e che ci sono stati restituiti come tanti sensi di colpa per essere aggrappati ad una voglia di cambiamento radicale che, secondo i soloni del pragmatismo e della moderazione inclusiva a sinistra, è mera demagogia e coltivazione del “proprio orticello“.
Attenti, perché da sardine si fa presto a diventare tonni se intorno girano tante rane che si gonfiano il petto per mostrare la loro bravura e tanti gamberi che vogliono apparire luccicantemente rossi e che invece, mostrandoci il pericolo di turno, ci portano sempre a fare tanti, tanti passi indietro.
MARCO SFERINI
19 novembre 2019
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