Su “Rinascita” del 25 aprile 1967, Pietro Ingrao scrisse un interessante articolo intitolato “Un primo dibattito sul pluralismo politico“. A prima vista, seguendo pari passi il titolo, parrebbe di trovarsi davanti ad una sorta di saggio concernente il rapporto tra i comunisti italiani e il resto delle forze politiche nell’ambito democratico: è vero. Si tratta infatti di una analisi approfondita che principia dalla crisi politica del centrosinistra di allora, semplicisticamente imputata da molti ad errori del Partito Socialista Italiano.
Ingrao spiega che le motivazioni sono più profonde e che vanno ricercate, seguendo un metodo marxista, nelle mutazioni sociali che sono poi niente altro se non mutazioni economiche. A tal proposito dice: “E’ questa crescente necessità espansiva e ‘totalitaria’ derivante dal capitale monopolistico, che ha messo in difficoltà e usurato la componente riformistica e l’elemento democratico che erano presenti nel programma del centrosinistra“.
Dunque, le necessità classiste dell’espansione economica riducono sempre più gli spazi di agibilità democratica, anche nelle – diciamo così… – “buone intenzioni” da parte di quei governi che rimangono “comitati di affari della borghesia” (ed oggi dell’alta finanza) in qualunque contesto emergano e gestiscano l’amministrazione dello Stato.
Anche nella nostra quotidianità è possibile assistere a queste dinamiche, con una differenza però sostanziale: i governi nazionali dipendono sempre più, oltre che dai sommovimenti e dalle fluttuazioni del mercato, anche dalla gestione delle organizzazioni economico-bancarie transnazionali, quindi, prima fra tutte, la Banca Centrale Europea e, a seguire, nella supervisione mondiale del tutto, il Fondo Monetario Internazionale.
Gli organismi di Bretton Woods tornano sempre… non c’è nessunissimo santo che tenga…
Nella crisi della politica riformistica tanto del 1967 quanto in quella dell’attuale 2019, è possibile intravedere spazi di azione per una nuova proposta di classe, per un riemergere delle coscienze che reclamino anche il diritto di organizzarsi spontaneamente per fare da “diga” al preoccupante fenomeno sovranista rappresentato da forze xenofobe, razziste e antisociali (tanto più pericolose quando appaiono a larghe masse di moderni proletari come “sociali“, dedite al benessere popolare, alla tutela del bene comune…).
Ma ciò è tanto più difficile se si intendono i movimenti sociali come movimenti pregni di coscienza altrettanto sociale, quindi depositari di una critica verso forze liberali e liberiste che si travestono da amiche degli sfruttati, mentre ci si trova davanti a spontaneismi e istantaneismi quasi isterici, forsennatamente convocati in piazza tramite il tam tam dei social network, senza nessuna rivendicazione che non si pretende essere “rivoluzionaria“, ma quanto meno delle parole chiare, nette sul “che fare“.
Capisco, come scrive il mio amico e compagno Danilo Maramotti, che non si può avere e che, quindi, tocca accontentarsi quanto meno del fatto che le piazze delle sardine allontanino un poco il pericolo del dilagare impetuoso del sovranismo che si era effettivamente preso troppe piazze.
Tuttavia credo che sia un male, anche e proprio per il neo-popolo delle sardine, sorto appena settantadue ore or sono, considerarsi ed essere considerato come una ripresa della coscienza sociale del Paese. Al massimo qui siamo in presenza di un moto quasi spontaneo di popolo che funziona molto “liquidamente” e che si compone e si scompone con la facilità con cui un bambino gioca con i mattoncini della Lego.
L’impeto dei movimenti di ieri e di oggi ci mette davanti ad un problema serio che rischiamo sempre di rimandare nelle discussioni che facciamo e nelle analisi che ci proponiamo di elaborare e di portare come contributo al dibattito: l’organizzazione collettiva politica, di massa che deve necessariamente svilupparsi sulle fondamenta di una “coscienza critica” del mondo contemporaneo. Occorre quindi affiancare alla mobilitazione sociale del Partito, di Rifondazione Comunista ma pure degli altri soggetti comunisti e libertari, una ripresa della consapevolezza delle rivendicazioni che esigiamo per trasformare la società e fare della nostra autonomia non un segno di rimarchevole separazione rispetto a tutte le altre forze democratiche e progressiste, ma certamente un segno di netta distinzione.
Dobbiamo poter dire: noi siamo differenti da tutti voi, e lo siamo perché non accettiamo come punto di partenza della nostra critica sociale il mondo in cui viviamo. Lo avversiamo senza se e senza ma e ci battiamo per una trasformazione di esso che non veda la continuazione in forme diverse dei disvalori attuali con annesse e connesse tutte le implicazioni del mercato, ma che lotti anche per tornare in Parlamento, considerando ciò (citando Ingrao) “solo un momento di un compito più vasto, che tende a creare una coesione intellettuale e politica di forze sociali, un “blocco di potere”.
Prosegue Ingrao: “Perciò per noi (comunisti, ndr.) si pongono non solo questioni di sviluppo numerico (collegamenti con la popolazione) e di partecipazione o attivismo, ma di una ‘determinata partecipazione'”.
Ingrao affronta il problema della “qualità” della partecipazione, quindi come i lavoratori, gli studenti, i cittadini tutti si possono avvicinare, prima ancora che al Partito Comunista Italiano, ad una visione critica della società in cui si trovano a vivere. In sostanza, pone come elemento centrale il “perché” della lotta, il “perché” dell’impegno e dell’attivismo in seno ad un collettivo organizzato, quindi ad un Partito che però non vive di vita propria se non tramite un allargamento sempre più ampio della coscienza critica, di classe: la piena consapevolezza di “come si vive” è necessaria per dare ad un movimento di lotta un radicamento di lunga durata.
Il movimento delle sardine deve, se vuole diventare un “soggetto di massa“, trovare una sua espressione politica: ciò non implica necessariamente un venir meno dello spontaneismo singolo che ha consentito, tramite un’altra forma di singolarismo (esasperato ed esasperante) come i social network (moderno edonismo telematico… e niente di più in larga parte dei casi), la formazione di tanti luoghi della protesta contro l’evidente pericolo per la democrazia rappresentato dalle destre neofasciste e sovraniste.
Ma se poi tutte quelle persone che sono scese in piazza, terminati i “flash mob” se ne ritornano a casa e si disperdono senza sentirsi parte di un corpo attivo e capace di funzionare anche quando non si raduna, allora viene meno qualunque funzione di costruzione di una alternativa alla Lega e alle altre forze che la seguono.
Per questo il dialogo tra partiti comunisti e della sinistra di alternativa è necessario con le sardine, ma è altrettanto necessario che si evitino veti supponenti, giudizi draconiani e anatemi contro i partiti: che si abbandoni il vecchio stereotipo grillino della “casta” onnipresente in chiunque faccia politica per passione e abbia una tessera in tasca soltanto perché ritiene che la forma-partito abbia un valore politico riconosciuto primariamente dalla nostra Costituzione prima ancora che dalla storia.
Veniamoci incontro tutte e tutti, senza veti e prevenzioni, senza pregiudizi escludenti. Forse, solo allora potremo unire la forza della spontaneità – che è una sana rabbia coscienziosa del perché si scende in piazza – con l’esperienza di chi vuole canalizzarla quella rabbia per valorizzare le vite degli sfruttati, di tutti i lavoratori precari, dei disoccupati e di chiunque non si sia arricchito tramite il lavoro altrui.
La coscienza sociale esiste ma, come scrivono Marx ed Engels nel “Manifesto del Partito comunista“, a volte le rivoluzioni (intese come stravolgimenti sociali anche lunghi e non prodotti necessariamente da masse che assaltano il Palazzo d’Inverno) avvengono senza la consapevolezza dei loro autori. Diciamo per una sorta di “inerzia” dovuta alla trasformazione continua dei rapporti di produzione, quindi di formazione della ricchezza.
Le classi cambiano ma le contrapposizioni di classe rimangono: in poche parole, anche oggi, seppur sembri di vivere nel migliore dei mondi possibili per tecnologia e meraviglie internettiane, lo sfruttamento esiste e prolifera.
Per questo le sardine sono necessarie ma per diventare utili, prima di tutto a loro stesse, devono capire dove e come vivono… Non basta dire NO a Salvini per migliorare le condizioni sociali del Paese. Bisogna anche evitare, ad esempio, il “voto utile” e smetterla di votare PD, Italia Viva e quanti altri hanno creato le condizioni di insofferenza e di malessere in cui oggi sopravvivono coloro che, giustamente, protestano. Quelle condizioni di invivibilità della vita sono poi il primo brodo di coltura di sviluppo delle destre stesse…
Per dirla con una frase: non c’è movimento senza sponda politica organizzata e non c’è partito senza movimento organizzato.
MARCO SFERINI
21 novembre 2019
foto tratta dalla pagina Facebook delle 6000sardine di Bologna