Sanità, la giostra dei rimborsi ai privati

Le aziende chiedono più soldi e nelle regioni qualcuno lavora per loro. Il 28 gennaio la nuova pronuncia del Tar potrebbe scatenare il caos

Finisce e ricomincia nel caos l’anno della sanità italiana. Nel giro di 24 ore cambiano due volte le tariffe per le prestazioni sanitarie. Saltano e tornano in vigore prestazioni mediche gratuite attese da anni. Vanno in tilt i sistemi informatici usati da medici e call center.

Tutta colpa di un ricorso degli imprenditori della sanità privata accreditata che chiedono ulteriori finanziamenti al governo. E di una decisione del Tar del Lazio, revocata nel giro di poche ore. Il tribunale però ha rimandato ogni ulteriore provvedimento al 28 gennaio. La giostra quindi potrebbe ripartire.

Tutto è iniziato il 30 dicembre, data che tanti avevano segnato sul calendario. Con l’aggiornamento dei Livelli essenziali di assistenza deciso nel 2017, fissato per il 2023 e poi rinviato al 2025, finalmente centinaia di nuove prestazioni gratuite venivano messe a disposizione dei cittadini: dalla procreazione medicalmente assistita alle terapie oncologiche innovative, dai nuovi screening neonatali alla diagnosi della celiachia, dal riconoscimento dell’endometriosi a quello di oltre un centinaio di patologie come «malattie rare».

Allo stesso tempo, il governo ha rivisto le tariffe con cui rimborsare la sanità privata per le prestazioni erogate in convenzione, stanziando 550 milioni di euro per l’operazione. Per il senatore di Fratelli d’Italia Guido Liris «un giorno storico, da ricordare e sottolineare per i prossimi anni».

In effetti, la giornata non sarà dimenticata a causa di un’imbarazzante battaglia di carte bollate tra governo e aziende. Oltre trecento dei maggiori operatori privati del settore hanno infatti impugnato davanti al Tar del Lazio il nuovo tariffario, ritenendo insufficienti i rimborsi statali per i laboratori e le cliniche convenzionate. Nella tarda mattinata del 30 dicembre, quando già 200 mila prenotazioni erano state effettuate con il nuovo sistema, il Tar del Lazio lo aveva sospeso fino al 28 gennaio.

Senza esprimersi sulle contestazioni delle aziende, il tribunale aveva dichiarato insussistente l’urgenza del decreto del novembre 2024 che ne stabiliva l’entrata in vigore per il 30 dicembre. E si era preso un mese per valutare il merito del ricorso.

La decisione aveva fatto esultare il mondo della sanità privata. Aiop, Anisap e Uap, le associazioni imprenditoriali ricorse al Tar avevano accolto «con grande soddisfazione e speranza la notizia della sospensione». Per i Cup e per i medici, che dopo mesi di test avevano appena iniziato a usare i nuovi codici e prezziari, il caos era appena iniziato e migliaia di prescrizioni improvvisamente perdevano validità.

Il pasticcio non era limitato alla necessità di ripristinare il sistema precedente. A detta dell’Avvocatura dello Stato, infatti, la sospensione del decreto di novembre riportava in vigore la norma precedente emanata a marzo 2024 che fissava comunque al 1 gennaio 2025 l’entrata in vigore del nuovo tariffario (e dei nuovi Lea).

Si delineava così uno scenario surreale: dal pomeriggio del 30 dicembre alla mezzanotte del 31 il personale e i sistemi informatici di Cup, ospedali e studi medici di tutta Italia avrebbero dovuto riesumare il vecchio tariffario come ordinato dal Tar, ma dal primo gennaio quello aggiornato sarebbe comunque entrato in vigore.

Per fare chiarezza, nella mattinata del 31 dicembre il ministero della salute ha presentato un ulteriore ricorso contro la sospensione e il Tar a sorpresa si è rimangiato la decisione presa il giorno prima: le nuove tariffe e i nuovi Lea entrano in vigore come previsto, almeno fino alla camera di consiglio del 28 gennaio.

La partita è solo sospesa. Se il Tar darà ragione alle aziende la situazione di caos di queste ore potrebbe ripetersi. È uno scenario che tutti vogliono scongiurare e il pressing sui giudici è già iniziato: «Sono certo che sapranno decidere per il bene dei cittadini» dice per esempio il senatore di Fdi Francesco Zaffini, presidente della commissione Sanità e Lavoro di Palazzo Madama.

Ma la sanità privata non è sola in questa battaglia. Diverse regioni – soprattutto la Lombardia, dove il privato pesa di più – chiedono di poter alzare i rimborsi oltre i massimali fissati dal governo. Una prova generale di autonomia differenziata.

ANDREA CAPOCCI

da il manifesto.it

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