Solo otto regioni più il Trentino garantiscono i «livelli essenziali di assistenza» sanitaria, meglio noti come Lea. Nelle altre dodici – a cui va aggiunto l’Alto Adige – c’è almeno un settore in cui il servizio non raggiunge gli standard minimi fissati per legge.
Più di mezza Italia, dunque, è sotto la soglia e per una volta la spaccatura non è solo tra nord e sud. Preoccupa soprattutto il trend perché al precedente monitoraggio la situazione era invertita, con dodici Regioni promosse e otto sotto la sufficienza.
Il dato drammatico anche se provvisorio è contenuto nelle slide mostrate nel corso di un’audizione in senato da Americo Cicchetti, direttore generale della programmazione sanitaria al Ministero della salute. L’audizione risale al 6 febbraio ma solo ieri ne ha dato conto il sito specializzato Quotidiano Sanità.
Cicchetti ha anticipato l’ultimo monitoraggio dei Livelli essenziali di assistenza erogati dalle Regioni, riferito all’anno 2022. Gli indicatori principali sono 22 e fanno riferimento a tre macro-aree – l’attività di prevenzione, l’assistenza distrettuale e quella ospedaliera – in cui la sufficienza si raggiunge con un punteggio di 60 su 100. Le Regioni che non adempiono ai Lea rischiano di perdere una quota del finanziamento sanitario governativo pari a circa l’1-2%.
Le criticità ora non riguardano più solo il Mezzogiorno: le nuove Regioni inadempienti sono quelle del nord-ovest (Piemonte e Liguria) e del centro (Lazio e Abruzzo). Da un monitoraggio all’altro passano da tre a sette le Regioni dove i Lea non sono erogati in almeno due aree su tre.
A far aumentare le caselle rosse nella tabella è soprattutto l’area della prevenzione, quella delle coperture vaccinali, degli screening oncologici e dello stile di vita. Le Regioni inadempienti in questo settore ora sono dieci mentre nel precedente monitoraggio erano solo quattro.
Si registra un peggioramento anche nell’assistenza distrettuale, che prende in considerazione l’efficienza dei pronto soccorso, il consumo di farmaci e le cure domiciliari. In questo caso le Regioni sotto soglia passano da quattro a sette. Rimane evidente la spaccatura nord-sud per alcuni indicatori: per l’arrivo di un’ambulanza ci vogliono almeno venti minuti da Perugia in giù; a nord succede solo nell’impervia Val D’Aosta. Assai variabile da nord a sud anche l’impiego improprio di alcuni farmaci-sentinella: meno di tre dosi di antibiotico per abitante in media a Bolzano, quasi otto in Campania e Abruzzo.
C’è invece un miglioramento nell’assistenza ospedaliera, dove al momento si segnala una sola regione insufficiente (la Val d’Aosta) più Piemonte e Basilicata che non hanno inviato i dati al ministero. Nel 2021 le Regioni segnate in rosso in questo settore erano cinque. È il nord-est l’area in cui la sanità è più efficiente. Dalla Lombardia al Friuli-Venezia Giulia e scendendo fino a Emilia-Romagna e Marche, stona solo la provincia di Bolzano, dove la percentuale storicamente molto elevata di anti-vaccinisti affossa la valutazione sulla prevenzione.
Anche in Toscana tiene la tradizione di buon livello della sanità a forte prevalenza pubblica. Nel meridione si conferma l’eccezione della Puglia, l’unica regione del sud che garantisce i livelli di assistenza minimi in ogni settore.Anche confrontando i risultati su un periodo più lungo, il 2022 è stato l’anno di gran lunga peggiore dal 2017. Nemmeno durante la pandemia, infatti, le regioni promosse in tutte le aree erano state mai meno di undici.
Il servizio sanitario nazionale sembra essere uscito malconcio dalla crisi Covid-19, nonostante la retorica che faceva pensare a una nuova centralità per il diritto alla salute. Al contrario, in questi anni sono aumentate solo le inefficienze e le disuguaglianze territoriali ed è impossibile non pensare alle conseguenze potenziali dell’autonomia differenziata.
Il governo però in questi giorni sembra più preoccupato da una nuova tornata di nomine. Nell’ultimo consiglio dei ministri sono stati designati tre dei quattro nuovi capi dipartimenti del ministero della salute, la figura dirigenziale più alta: Giuseppe Celotto all’amministrazione, Francesco Saverio Mennini alla programmazione sanitaria, Giovanni Leonardi per il settore «One Health» e i rapporti internazionali.
«Non possiamo non notare come tra di loro, anche questa volta, non ci sia nessuna donna» fa nota in un comunicato la Flepar, l’associazione sindacale dei dirigenti pubblici. Non basterà al riequilibrio la nomina di Anna Teresa Palamara, data in vantaggio sull’attuale dg Francesco Vaia per il vertice del dipartimento della prevenzione, proprio il settore in cui le Regioni sono più indietro.
ANDREA CAPOCCI
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