A palazzo Chigi se lo aspettavano e anche prima che arrivasse la quotidiana bomba di Maria Rosaria Boccia, stavolta un’intervista anticipata in parte da La Stampa, si chiedevano se la chilometrica intervista-autodafè di Gennaro Sangiuliano non fosse stata un ennesimo passo falso.

Stavolta della premier, perché è stata lei a suggerire quella strada, esponendo il suo ministro della Cultura a un ludibrio senza precedenti pur di evitare la temuta trappola del rimpasto. La sortita quotidiana della consigliera ha risolto il dubbio. Il sacrificio umano di Sangiuliano non è bastato a chiudere la tormentosa vicenda.

Boccia, sorridente e visibilmente soddisfatta, torna infatti alla carica. Nell’intervista la donna, che si definisce «imprenditrice da vent’anni», smentisce di nuovo la versione di Sangiuliano: «Io ho sempre saputo che pagava il ministero, come possono sottolineare ed evidenziare le mail che ho ricevuto dal caposegreteria». Su Pompei, l’imprenditrice assicura di essere stata al corrente di informazioni certamente riservate. Ipotizza, come aveva già fatto ore prima in un post, che il ministro sia sotto ricatto. Quando afferma «Non sono io ad aver creato il ricatto.

Sono coloro che occupano i palazzi del potere», sembra prendere di mira direttamente la premier. La giostra non si fermerà qui. L’intervista integrale sarà pubblicata oggi ma già corre voce di una nuova possibile intervista, stavolta in tv.

L’esposizione impietosa del ministro avrebbe comunque comportato un prezzo alto. Non si può rendere un esponente del governo oggetto di beffe, burle e battute salaci ovunque senza che il discredito ricada anche sul resto dell’esecutivo e su chi lo guida.

La decisione, probabilmente ordinata non da viale Mazzini ma da palazzo Chigi, di sbaraccare i palinsesti della prima rete per mandare in onda la lunghissima “confessione” del ministro ha offerto all’opposizione il primo fondato argomento di polemica non basata sul pettegolezzo in questa storiaccia e l’opposizione stessa non se lo fa certo sfuggire. Dopo una giornata di martellamento è stata annunciata la convocazione urgente della presidenza della Commissione di vigilanza. Ci saranno i fuochi artificiali.

Anche se sarà evitato il rischio di arrivare al G7 della Cultura con il ministro competente dimissionario, e non è ancora detto che sia davvero evitato, non si tratterà certo di un ministro nel pieno della propria autorevolezza. «Forse sarebbe stato meglio accettare le dimissioni ed evitare l’autodafè su Raiuno», ammettono a mezza bocca a palazzo Chigi. Un sospetto che tormenta anche la premier.

Se almeno la gogna a cui è stato sottoposto Gennaro Sangiuliano fosse servita a fermare il carosello si sarebbe almeno potuto dire di aver comunque centrato il bersaglio. Non è così. Ieri circolavano voci di ogni tipo: l’autore del servizio fotografico uscito su Gente parla di foto commissionate e poi cestinate da Mondadori e Cairo, allude a possibili altre fotografie per qualche verso davvero compromettenti.

L’attacco rivolto alla presidente del consiglio dall’imprenditrice da vent’anni è stato vissuto a palazzo Chigi con fastidio e allarme. Il rischio che la consulente riesca a sbugiardare il ministro su uno dei due punti chiave, il non essere mai costata un euro pubblico e il non essere mai stata messa al corrente di informazioni sensibili sul G7, non sembra e non è stornato.

In questo quadro disastroso, con una storia inizialmente insussistente gonfiatasi per gli errori del ministro ma ormai anche della premier sino a diventare valanga, inevitabilmente la parola dimissioni è tornata a echeggiare in ogni angolo del Palazzo. Dimissioni subito, ancora prima del G7, se una delle eventualità temute si verificherà davvero, cioè se la consulente dimostrerà di essere costata qualcosa al contribuente o di aver saputo cose che sarebbero dovute restare riservate o se usciranno altri elementi più che imbarazzanti.

Dimissioni dopo una festa della Cultura già trasformatasi in calvario se la premier, nei prossimi giorni o nelle prossime ore, concluderà che la formula scelta per evitare il guaio grosso di un rimpasto con tre ministri tutti FdI fuori gioco, perché cacciare Sangiuliano tenendosi Daniela Santanchè sarebbe arduo persino per Giorgia Meloni, si è rivelata il classico rimedio peggiore del male.

ANDREA COLOMBO

da il manifesto.it

foto: screenshot tv