«La campagna finisce, la lotta continua». Questo ha detto Bernie Sanders a tutti i suoi sostenitori dopo l’annuncio del suo ritiro dalla campagna elettorale per le primarie del Partito democratico.
Dopo avere annunciato la decisione al suo staff, Bernie ha fatto un discorso trasmesso in streaming, ufficializzando ciò che, visti i risultati delle primarie dal South Carolina in poi, era ormai sicuro. A sfidare Donald Trump, a novembre, sarà l’ex vice presidente Joe Biden. Sanders e Biden erano rimasti gli unici due candidati in corsa ma, dopo le vittorie nei primi Stati chiamati a votare, Iowa, New Hampshire e Nevada, Sanders aveva inanellato una sconfitta dietro l’altra, anche dove era considerato favorito e dove nel 2016 aveva battuto Hillary Clinton.
In un altro momento storico Sanders sarebbe, forse, rimasto ancora in corsa, come aveva fatto quattro anni fa, ritirandosi solo a giugno, con tutti i numeri contro, portando così Clinton e il partito a firmare la piattaforma più a sinistra mai presentata a una convention democratica.
Stavolta, con le primarie di fatto ferme a causa del coronavirus e molti Stati che hanno posposto il voto a giugno, la candidatura del partito sarebbe rimasta sospesa inutilmente per mesi.
La sua è stata una scelta giudicata responsabile ma non per questo meno dolorosa. Sanders rappresenta per una buona fetta di americani la possibilità di un’Americana diversa finora relegata a un sogno irrealistico e impossibile, anticapitalista, nel cuore di quello che è l’impero del capitalismo per antonomasia.
«Voglio esprimere a ciascuno di voi la mia profonda gratitudine per aver contribuito a creare una campagna politica di base senza precedenti che ha avuto un profondo impatto nel cambiare la nostra nazione – ha detto Sanders – Voglio ringraziare i 2,1 milioni di americani che hanno contribuito alla nostra campagna e hanno mostrato al mondo che si può fare una grande campagna presidenziale senza essere dipendenti dai ricchi e dai potenti. Insieme abbiamo trasformato la coscienza americana in merito al tipo di paese che possiamo diventare e abbiamo fatto fare a questo paese un importante passo avanti nella lotta senza fine per la giustizia economica, la giustizia sociale, la giustizia razziale e la giustizia ambientale».
«Voglio anche ringraziare le molte centinaia di persone attive in questa campagna – ha continuato – Siete state disposte a spostarvi da uno Stato all’altro, vi siete rimboccati le maniche e ce l’avete fatta. Avete incarnato le parole che sono al centro del nostro movimento: non io, noi. E ringrazio ognuno di voi. La battaglia ideologica l’abbiamo vinta».
Sulla vittoria ideologica di Sanders non ci sono dubbi: in quattro anni il senatore socialista del Vermont, indipendente per natura e vocazione, non solo ha spostato a sinistra un partito centrista e moderato come pochi, ha cambiato la scala di priorità di una nazione che è una super potenza e ha sdoganato il socialismo, ma ha formato una nuova generazione di politici e attivisti militanti, infondendo una linfa nuova.
Sanders ha pescato e restituito ai movimenti, da Occupy Wall Street che è stato la sua spinta propulsiva, a Never Again che ha mutuato la prassi di mobilitazione dal basso di Sanders. Negli Usa c’è un prima e un dopo Bernie.
Il suo limite è stato quello di non riuscire a sfondare in fasce demografiche diverse da quella dei giovani, specialmente dei giovani bianchi, ma è altrettanto vero che questi giovani non si limitano a votare, abbracciano una visione del mondo diversa e sono intenzionati a portarla avanti al di là della scadenza elettorale di novembre.
Il diritto a sanità, casa, studio non sono temi che smettono di essere importanti ora che, grazie a Sanders, sono diventati centrali.
MARINA CATUCCI
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