È un doppio vertice tra esponenti politici che fanno man bassa di consensi nei propri Paesi ma che sono sempre più isolati e in difficoltà in Europa. E che proprio per questo sperano di riuscire ad avere maggiore forza unendosi, anche in vista delle elezioni europee del prossimo anno.
Si comincia poco dopo mezzogiorno a Roma, dove a palazzo Chigi il premier Giuseppe Conte riceverà il collega ceco Adrej Babis con il quale parlerà soprattutto di immigrazione. Nel pomeriggio, alle 17 in prefettura a Milano, tocca invece al ministro degli Interni Matteo Salvini fare gli onori di casa al premier ungherese Viktor Orbán, leader dei sovranisti europei e del gruppo di Visegrad (oltre a Ungheria e repubblica Ceca ne fanno parte Polonia e Slovacchia) che punta a «riformare» l’Unione europea togliendo sempre più poteri a Bruxelles. Visita contestatissima dalla piazza, ma attesa con ansia dal capo politico del Carroccio alla ricerca disperata di alleati in Europa. Due incontri che invece rischiano di confinare l’Italia sempre più ai margini dell’Unione europea.
L’attenzione maggiore, anche per i suoi possibili risvolti politici, è per il vertice milanese. L’atteggiamento «ricattatorio» con cui il governo giallo verde ha trattato la vicenda dei migranti della nave Diciotti ha messo fine alla pazienza diplomatica con cui a Bruxelles si è finora guardato alle intemperanze italiane, specie da parte del titolare del Viminale. Dall’altro lato l’Ungheria è messa sempre più sotto pressione dall’Unione europea che contesta la deriva autoritaria imposta da Orbán al paese. A giugno il parlamento europeo ha chiesto l’apertura di una procedura di infrazione contro Budapest per violazione dei diritti umani e delle valori costitutivi dello Stato di diritto. In seguito la Commissione Ue ha deferito il paese alla Corte europea di giustizia per il modo in cui vengono trattati i richiedenti asilo e, infine, ha inviato al governo magiaro una lettera di messa in mora per la cosiddetta legge «anti-Soros» che prevede sanzioni penali per le Ong che aiutano i migranti. In questa situazione sia Salvini che Orbán hanno quindi bisogno di spalleggiarsi a vicenda in vista degli scontri, prevedibilmente duri, che dovranno affrontare già a settembre nel vertice dei capi di Stato e di governo di Salisburgo.
Difficoltà a parte, ci sono però molte le cose che uniscono i due. A partire, ovviamente, dalla richiesta di modificare le politiche europee sull’immigrazione. Entrambi chiedono infatti di rafforzare i confini esterni dell’Ue impedendo ai migranti di arrivare. Orbán, con il suo muro costruito ai confini con la Serbia, ha dato l’esempio e vede nell’Italia l’alleato ideale. «L’Ungheria ha dimostrato che l’immigrazione clandestina può essere bloccata ai confini terrestri, l’Italia e l’Australia hanno dimostrato che lo si può fare in mare», ha confermato anche ieri il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijarto. Piccolo particolare: Matteo Salvini, che non perde occasione per attaccare l’Europa per non aver ricollocato dall’Italia la quota di richiedenti asilo stabilita nel 2015, dimentica sempre che l’Ungheria, alla quale ne spettavano appena 1.294, non ne ha accolto neanche uno.
Ma quello dei migranti non è l’unico terreno comune. Sia Italia che Ungheria sono infatti favorevoli a un ridimensionamento dei poteri di Bruxelles e all’abolizione della sanzioni alla Russia, tema sul quale possono contare sull’appoggio della Bulgaria, del presidente ceco Milos Zeman, della Slovenia e della Slovacchia, oltre che dell’estrema destra di Heinz Christian Strache al governo in Austria. Insieme a una dichiarata avversione per il presidente francese Macron e la cancelliera tedesca Merkel, che accomuna sia Salvini che Orbán, sono tutti argomenti buoni per gettare le basi dell’alleanza anti-Ue annunciata da Salvini a Pontida in vista delle prossime elezioni europee.
A Roma, invece, Conte farà di tutto per convincere Andrej Babis ad accettare almeno qualcuno dei migranti che arrivano in Italia. Fatica inutile. Prima di partire il premier ceco ha infatti ribadito l’indisponibilità di Praga: «Non ne prenderemo neanche uno, né dall’Italia né da altri luoghi. Il mio governo migranti illegali non ne prende», ha ribadito ieri Babis. Più interessato, piuttosto, a proporre all’Italia l’acquisto di droni di produzione ceca per controllare i confini marittimi in funzione anti-migranti. Su una cosa comunque non ci sono dubbi: nonostante la propaganda antieuropeista né Orbán né Babis hanno intenzione di uscire dall’Unione europea, sui cui fondi di coesione fanno affidamento le economie di entrambi i Paesi. Babis l’ha detto chiaramente ieri attaccando quanti nel suo Paese parlano di una possibile uscita di Praga dalla Ue: «Se qualcuno parla di Czexit mette in pericolo il futuro della nazione», ha detto il premier. Ricordando come «per il periodo 2004-2017 abbiamo ricevuto 700 miliardi di corone (27,9 miliardi di euro) e il nostro prodotto interno lordo è aumentato del 37 per cento».
CARLO LANIA
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