A quattrocento metri dal corteo degli antifascisti, nella sede della Fondazione Istituto dei ciechi di Milano, Matteo Salvini ha presentato il suo ultimo libro, Controvento, strenna elettorale sull’Italia «che non si arrende», ma anche memoir in cui il leader leghista confessa che se avesse voluto «una vita comoda» si sarebbe «iscritto al Pd».
L’idea di fare un’anteprima a Milano, proprio nel giorno della Liberazione, voleva essere provocatoria, mirava all’incidente. Ma il pur corposo dispiegamento di polizia antisommossa è rimasto inoperoso: Salvini si è esibito a favore di telecamere in un ingresso a piedi nel lussuoso palazzo della Fondazione, un’ostentazione di tranquillità che dovrebbe far notizia, ma finisce per testimoniare solo il tramonto di un personaggio non più divisivo come una volta.
Dunque la notizia vera e propria viene data durante la presentazione: il generale Roberto Vannacci sarà candidato alle Europee sotto le insegne della Lega. In tutte le circoscrizioni (capolista, con ogni probabilità , al Centro e al Sud).
In mattinata Salvini, insieme al ministro Valditara, si era fatto vedere alla deposizione delle corone al Sacrario dei Caduti. Il cronista di Radio Popolare che gli ha domandato se fosse antifascista. E la risposta è stata un suo grande classico: «Sono antifascista, anticomunista, antiregime, anti qualsiasi cosa volete…». Poi ha aggiunto: «Ho sempre onorato Il 25 aprile senza doverlo sbandierare e senza politicizzarlo».
Chi a sbandierare non si fa tanti problemi e della politicizzazione ha un’idea tutta sua è invece il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano. Che ha battezzato il 25 aprile con un’intervista a Repubblica in cui ammette che «l’antifascismo è sicuramente un valore» ma «lo è allo stesso modo anche l’anticomunismo». Questo perché anche se «l’Italia non ha avuto una dittatura comunista» ha comunque avuto «un partito comunista profondamente stalinista».
Sulla stessa lunghezza d’onda tanti post sui social di ministri e parlamentari semplici: se per il 25 aprile è praticamente obbligatorio parlare di antifascismo, nel discorso si può sempre aggiungere la parola “anticomunismo†per fare pari.
Diverso, di certo più abile e insidioso, il discorso che ha fatto Giorgia Meloni: «La Liberazione, con la fine del fascismo, pose le basi per il ritorno della democrazia». Una frase di non poco conto per una premier figlia della conventio ad excludendum, leader di un partito che ha ancora la fiamma tricolore nel suo simbolo. E così dopo aver dichiarato un anno fa esatto la sua parte politica «incompatibile con qualsiasi nostalgia», Meloni, parola dopo parola, prosegue sulla strada della normalizzazione.
Un modo per cercare di far evolvere Fratelli d’Italia da partito underdog a partito di sistema, accettabile in contesti che ancora lo guardano con un certo sospetto. La fitta schiera dei seguaci della premier forse ancora non ha preso atto di questo tentativo di cambiare il paradigma. Di certo non se n’è accorta l’opposizione.
MARIO DI VITO
ANDREA COLOMBO
foto: screenshot ed elaborazione propria