Giuseppe Conte straccia platealmente in aula il disegno di legge sul salario minimo nella versione riscritta dal governo. Elly Schlein tuona dal suo banco alla Camera: «Siete il governo dalla parte degli sfruttatori, non avete neanche il coraggio di votare no al salario minimo, avete trovato dei sotterfugi per soffocare il dibattito, pugnalate alle spalle oltre 3 milioni di lavoratori poveri perché non riuscite a guardarli negli occhi, ma la Costituzione non vi autorizza a compiere questi abusi di potere contro le minoranze».
È tardo pomeriggio a Montecitorio quando va in scena lo scontro finale sul salario minimo: la maggioranza boccia tutti gli emendamenti delle opposizioni, che su questa proposta si erano unite, dal M5s a Calenda (tranne Renzi) raccogliendo 500mila firme. Il disegno di legge delle minoranze in commissione è già stato trasformato in una delega al governo, dove non c’è più traccia del salario a 9 euro l’ora e spuntano le gabbie salariali. Tutti i parlamentari delle opposizioni ritirano la propria firma da un testo che è diventato il contrario di quello che avevano proposto: «Non in mio nome», dicono uno dopo l’altro.
E proprio nel giorno in cui il commissario europeo al Lavoro Nicolas Schmit è stato audito in Parlamento, dove ha ribadito che «in Italia i salari sono troppo bassi, una situazione non sana che va affrontata». E ancora: «La contrattazione collettiva per molti settori non funziona e il salario minimo può essere una soluzione, dando anche una spinta a produttività e crescita».
In aula la maggioranza non sente ragioni e boccia a raffica gli emendamenti, a partire dal primo, quello che mirava a cancellare la delega al governo e a ripristinare il testo originario: 149 no, 111 sì. È il passaggio fondamentale della giornata, quello che, di fatto, cancella il salario minimo. «Con questo no Meloni ha gettato la maschera, con la stessa arroganza con cui un ministro ha fermato un treno oggi fermate la speranza dei lavoratori sottopagati di avere una equa retribuzione». Il leader M5S è il primo a ritirare le firma, e lo fa stracciando i fogli di carta. Segue Nicola Fratoianni, che parla di «un atto di pirateria politica e istituzionale».
Parole che indignano i banchi del centrodestra, a partire da Maurizio Lupi, l’unico che interviene per dire che questo governo non vuole il salario minimo. E a disvelare la pantomima che va in onda da questa estate, da quando Meloni convocò le opposizioni a palazzo Chigi per poi decidere di passare la palla all’inconcludente parere del Cnel fino a ieri.
Si indigna anche il capogruppo di Fdi Tommaso Foti (in aula non ci sono né Meloni, né i vicepremier e neppure la ministra del Lavoro Calderone), che prova a citare qualche episodio del passato (come la legge sulla prescrizione diventata “ex Cirielli”) per tentare di dimostrare che «ci sono già stati atti di pirateria in queste aule». Francesco Mari, di Sinistra-Verdi, contrattacca: «Vi siete offesi? Ci abbiamo provato ma un altro termine ma non lo abbiamo trovato: la nave del salario minimo è stata abbordata e poi portata alla Tortuga per farne tutta un’altra cosa».
Schlein ricorda che, tra l’altro, la delega che sarà approvata con voto finale oggi dalla Camera prevede che siano applicati i «contratti collettivi nazionali maggiormente applicati» e non quelli firmati dalle associazioni più rappresentative. «Così fate ancora più spazio ai contratti pirata», denuncia la leader Pd. Riccardo Magi di +Europa conferma: «Con la vostra legge il quadro rischia di complicarsi, sarà più difficile capire quale contratto si deve applicare in alcuni settori come la logistica». Persino Luigi Marattin di Italia Viva vede che c’è qualcosa di grave: «Non è mai successo che una proposta dell’opposizione non sia stata emendata ma cancellata e sostituita con una delega di segno contrario».
Calenda si rivolge a Meloni via twitter: «Faccio un appello politico e personale affinché riconsideri questa scelta». Intervengono in tanti dai banchi delle opposizioni. La capogruppo Pd chiara Braga: «La vostra è una ammissione di impotenza, fate decreti per tutto tranne che per difendere i lavoratori più poveri». Francesco Silvestri del M5S si mostra sicuro: «Avete perso la battaglia politica nel Paese, l’apprivazione del salario minimo è solo rallentata, alla fine la vinceremo». Andrea Orlando avverte: «Cercano di riscrivere le relazioni industriali senza coinvolgere le parti sociali».
Oggi si torna in Aula per le battute finali. «Il governo ha fatto un grave errore», la sentenza di Maurizio Landini.
ANDREA CARUGATI
foto: screenshot tv