Da una parte l’opposizione che lancia la raccolta firme per i 9 euro l’ora, dall’altra il governo che punta sul Cnel per la sua controproposta sul salario minimo.
Il giorno dopo l’incontro nella Sala verde di palazzo Chigi le posizioni rimangono distanti e si staglia sempre più nitido il vero oggetto del contendere. La destra non vuole fissare un tetto minimo salariale e punta su Renato Brunetta – presidente del Cnel – per un «piano articolato» con dentro un po’ di tutto. Un vero papocchio in cui sommare tutte le ricette di destra: i salari sarebbero alzati grazie al solito aumento della produttività caro a Confindustria più il tema della partecipazione dei lavoratori agli utili delle aziende, tanto cara alla Cisl che ha pure lanciato una raccolta firme sul tema.
Se PD, M5S, Alleanza Verdi Sinistra e +Europa venerdì hanno ricordato a Meloni il progetto di legge dell’esponente di Fdi Walter Rizzetto sul salario minimo, le posizioni di Brunetta sull’argomento in passato sono chiarissime: contrarietà totale.
E anche da presidente del Cnel lo stesso ex ministro di Forza Italia ha già presentato un suo documento. Una memoria depositata in commissione Lavoro alla Camera durante la discussione sul progetto di legge dell’opposizione.
La «memoria» avanzava otto proposte, sebbene la maggior parte fossero di metodo più che di merito. Al primo punto c’era il coinvolgimento delle parti sociali, sindacati e impresa. L’obiettivo – quinto e sesto punto – era «favorire un pieno sviluppo a tutti i livelli della contrattazione» e contrastare i «contratti pirata». Peccato che buona parte di questi siano stati sottoscritti da sindacati vicini alla destra, come ha denunciato sul manifesto Pierpaolo Bombardieri della Uil. Confsal in primis ma anche Ugl, il sindacato che sotto la direzione di Claudio Durigon, attuale sottosegretario al Lavoro, è diventato braccio armato della Lega.
Se anche l’estensione erga omnes dei contratti a tutti i lavoratori del settore o ai lavoratori non coperti è una richiesta della Cisl (in questo caso unita a Cgil e Uil), poco dopo arriva il cavallo di battaglia di Confindustria: «il nodo della bassa produttività, fattore spesso indicato come responsabile della scarsa se non nulla crescita dei salari in Italia».
Brunetta poi lanciava «forme di partecipazione dei lavoratori, con una più forte legislazione fiscale di sostegno, a partire dalle soluzioni di profit sharing», tradotto: partecipazione agli utili. La Cisl ha lanciato ad aprile la proposta di legge di iniziativa popolare “Partecipazione al Lavoro” per dare piena applicazione all’articolo 46 della Costituzione, che sancisce il diritto a collaborare alla gestione delle aziende. In più la proposta della partecipazione agli utili somiglia a quella presentata pochi giorni fa dai renziani di Italia Viva. Che dunque voterebbero ancora una con la destra.
Le uniche azioni positive perciò si limiterebbero a velocizzare i rinnovi contrattuali (la proposta dell’opposizione migliora l’attuale ultra attività dei contratti scaduti) e da misure per ridurre l’uso che le imprese fanno sempre più del part-time involontario e del «lavoro povero».
La linea del dialogo di Giorgia Meloni intanto sembra già abbandonata dal suo vice Matteo Salvini: «È giusto ascoltare. Poi, è chiaro che se Pd e 5S difendo il Reddito di cittadinanza (che introdusse il governo Conte Uno di cui Salvini era vicepremier, ndr) così com’è e non cambiano idea su nulla, noi abbiamo il dovere di tirar dritto», ha detto ieri il leader leghista.
Per tutta risposta il Pd annuncia l’allestimento di banchetti per raccogliere firme in favore della proposta di legge in tutte le feste de l’Unità, che solo in Emilia-Romagna sono oltre 100. Con la speranza per il momento sussurrata di poter arrivare a quota un milione. Mentre l’idea del M5S è quella di attivarsi sia online, sia attraverso gli oltre 150 gruppi territoriali.
MASSIMO FRANCHI
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