È così difficile scrivere di felicità in questi tempi tanto complessi e agitati che si può solo comprendere Rossana Rossanda quando all’incontro del Seminario Estivo della Società italiana delle letterate nel luglio 2006 a Frascati, in cui parlammo insieme de La ragazza del secolo scorso, disse che era felice di essere lì, invitata da quelle sorelle pazze del libro Movimenti di felicità, pubblicato da manifestolibri nel 2004.
Il seminario era dedicato a «Eccesso e misura. Al crocevia della scrittura» e molto discutemmo di che cosa significasse per ognuna l’eccesso e la misura della politica e della polis (l’incontro è stato poi pubblicato nel febbraio 2008 su Leggendaria e ricordato nelle pagine dedicate a Rossana Rossanda sempre da Leggendaria nel 2020). Rossanda vi partecipò con la consueta schietta e rigorosa generosità, grazie a Doriana Ricci che era con lei e l’accompagnò, come sempre. Nonostante si sia in quell’incontro parlato a lungo di molte questioni e al tema avessimo dedicato un seminario e poi un libro, la parola «felicità» non appare nel corso del dibattito se non in forma antifrastica, troppe altre questioni erano urgenti: il femminismo, il comunismo, il Sessantotto, il corpo, anche nella vecchiaia.
Eppure lei stessa aveva parlato e a lungo di felicità con Christa Wolf, mescolata però al capitalismo e la cosa non era più facile, anzi, come non lo è neanche adesso: chi ha partecipato all’incontro che si svolse a Roma il 21 marzo 1992 promosso dal Centro Culturale Virginia Woolf- Gruppo B con il titolo Se la felicità… Per una critica al capitalismo a partire dall’essere donna (pubblicato l’anno stesso dalle Edizioni del Centro e riproposto da VandA edizioni) ricorda benissimo il silenzio teso e concentrato di un numero imprevisto di donne che riempirono all’inverosimile il teatro Avila e che ascoltarono a lungo dialogare con la franchezza e sincerità dei pensieri acuminati due donne del calibro e della levatura di Christa Wolf, della quale erano state tradotte in Italia da Anita Raja per Cassandra (1984), Guasto (1987), Recita estiva (1989), mentre Trama d’infanzia, del 1976, era stato appena pubblicato in Italia nel 1992, e ogni opera letta con attenzione, meditata, discussa nei gruppi femministi; e Rossana Rossanda, che gli editoriali fulminanti e le splendide recensioni, insieme alla successiva narrazione autobiografica, consegnano anche alla definizione di scrittrice, pure se molto altro è stata.
Il tema, lo ricorda Alessandra Bocchetti che coordinò l’incontro e ne ha scritto la premessa all’edizione VandA, è «la felicità delle donne come strumento per una rivoluzione contro il capitalismo»: «non la lotta di classe ma la felicità delle donne per cambiare veramente». Tema ardimentoso quant’altri mai, ma che al tempo stesso risuona vicino, vicinissimo ad ogni soggettività, perché è il desiderio a muovere le rivoluzioni: motore il bisogno di giustizia di contro all’ingiustizia sociale, certo, il bisogno di pane e lavoro ma anche delle rose, perché senza la vita non ha significato. Tutto questo allora agiva e tutt’oggi agisce sottotesto alla vita di ognuna e ognuno, anche se pandemia e capitalismo selvaggio – difficile dire dove inizia l’uno e finisce l’altro, spesso strettamente irrelati – pongono l’età presente sotto scacco.
Sullo sfondo allora la caduta del muro di Berlino, e un senso malcelato di malessere per un ideale e un’utopia – il sogno di un mondo migliore, comunista – che si erano mostrati vani e fallaci: se le prospettive erano allora opache, però, la capacità di analisi delle due donne non lo era affatto, sia nel confronto tra loro che nelle risposte alle domande nel corso del dibattito, la cui chiarezza risulta a oggi ancora sbalorditiva per la capacità di analisi e di prefigurazione di quello che è attualmente il presente.
Pesava la sconfitta del sogno di rivoluzione comunista allora nel 1992 e ancora nel 2022, a trenta e più anni di distanza da quell’incontro. Rossanda tornò poi nel corso del dialogo sulla questione, ponendo la domanda «Si può essere felici senza sapere?» a proposito di quando nel 1943 studiava al Castello Sforzesco di Milano e intravide una possibilità di felicità personale in quello che lei definisce «il luogo della mia quiete». Ma non della libertà, aggiunge, e l’osservazione che l’accompagna è ciò che meglio rende la motivazione all’impegno politico di tante e di tanti: «io non voglio essere quieta in un mondo di ingiustizie».
A partire dalla definizione di Christa Wolf per la quale «essere viva con ogni fibra del mio corpo, della mia anima e della mia mente: questo è per me felicità», «agire, sentire, pensare, magari contemporaneamente»: quanto di questa definizione potremmo fare nostro oggi? Tutto, direi, tanto più in un periodo storico in cui agire, sentire, pensare contemporaneamente sembra quasi impossibile, ottusi come siamo dai dispositivi della fragilità e della vulnerabilità che non riescono a divenire forza creatrice tra le nostre mani. Vi è sì, lo riconoscono entrambe, una felicità nella scrittura, ma come non condividere quanto osserva Rossana Rossanda a proposito della libertà: «Libertà significa essere in condizioni di realizzare se stessi, di vivere con tutte le proprie fibre, e questo dipende molto, direi quasi esclusivamente, invece, dalle condizioni sociali, dai rapporti sociali che ci sono dati».
E prosegue «Questa è la ragione per la quale io continuo a fare politica: perché penso che ci sia un’illibertà diffusa e che questa illibertà per le donne sia ancora maggiore. Occorre molto sforzo, molta capacità di costituirsi in soggetto autonomo per dichiararsi libere, per volersi libere, per sentirsi libere».
Vi è una politica delle donne e più ampiamente di tutte le soggettività che non chiede né cerca quiete, allora come oggi, che critica il capitalismo e che è soggetto politico in divenire. Ben chiaro, allora come oggi, che la questione non è quello della sola emancipazione ma di una critica al sistema capitalistico delle merci, rispetto al quale la subordinazione è degli uomini come delle donne e di tutte le soggettività che vedono nel patriarcato la forma archetipica del capitalismo.
Nel corso del dibattito, assai vivo e vivace, Rossanda osservò che «le donne, per essere state oggetto più di un uomo, merce più di un uomo, bene di scambio più di un uomo» possono essere più di altri ribelli all’idea di mercificazione totale; ma già allora notava come le algerine appena uscite di casa rischiavano di dover rimettere il velo e altrettanto lucidamente Christa Wolf si chiedeva se fosse possibile invertire l’andamento per il quale i paesi poveri divenivano sempre più poveri e che «certamente le masse affamate verranno a bussare alla porta dell’Europa occidentale! E che faremo? Li rispediremo a casa sulle navi? Li fucileremo? O che altro?».
Sullo sfondo, non nominata ma incombente, la nave albanese Vlora che nel 1990 trasportò in Italia 20.000 albanesi, il più grande sbarco di migranti da un’unica nave. Sul tavolo le domande irrimandabili ancora e sempre: sono possibili altre economie di mercato? O occorrerà scardinare l’intera economia mondiale perché cessi il sistema di sfruttamento capitalistico?
In altre parole: è possibile l’utopia? Sulla possibilità di scrivere dell’utopia confidando che cessi di essere utopia e diventi – vogliamo dirlo? – rivoluzione (parola che però non si pronunciò), si chiuse allora l’incontro tra Rossanda Rossanda e Christa Wolf coordinato da Alessandra Bocchetti e le questioni sono e rimangono assai aperte, sia nelle forme delle conseguenze a quanto allora avvenne: la caduta del muro di Berlino e dei paesi del socialismo reale, le guerre su vari fronti del mondo con tutto quello che ne è venuto poi; la radicalità selvaggia del capitalismo e del sistema delle merci che certo non sono stati e non sono estranei a quanto sta avvenendo nel mondo.
Vale rileggere perciò quanto allora donne di tanto calibro si dissero – oggi sì utopia la partecipazione così affollata a un dibattito – per continuare a pensare utopia e farla diventare mondo reale: dati i tempi, impossibile morire per troppa felicità come accade alla protagonista del racconto omonimo di Alice Munro.
LAURA FORTINI
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