Nel ricordare l’anniversario dell’assassinio di Rosa Luxemburg (15 gennaio 1919) riproponiamo un vecchio articolo dello storico cecoslovacco Milos Hajek, protagonista della Primavera di Praga e ex-rettore della scuola di partito, uno dei cinquecentomila comunisti che con Dubcek furono espulsi dal partito dopo l’invasione sovietica. Fu uno dei principali esponenti del dissenso e tra i fondatori del movimento Charta 77. La sua fondamentale Storia dell’Internazionale comunista (1921-1935) fu pubblicata in Italia dalla casa editrice del PCI Editori Riuniti nel 1969.
GIACOBINA SENZA TERRORE
(…) quando i sicari della controrivoluzione monarchica in Germania assassinarono Rosa Luxemburg, venne messa la parola fine, immaturamente, non soltanto alla vita di una nobile donna. Dalla scena della nascente Terza Internazionale scomparve una personalità teorica che era almeno alla pari con Lenin. Con il bolscevismo, infatti, il luxemburghismo fu alla culla dell’Internazionale comunista. Erano ambedue correnti del marxismo rivoluzionario che consideravano il socialismo un compito da realizzare nel futuro immediato e l’unica strada capace di arrivarci per loro era la rivoluzione proletaria, che doveva necessariamente avere la forma di una impietosa guerra civile. Nel suo progetto di programma per la Lega di Spartaco, Rosa Luxemburg dedico non pochi passaggi alla critica della prefazione engelsiana alle Lotte di classe in Francia, del 1895, nella quale l’autore aveva richiamato l’attenzione sul forte peggioramento, nell’ultimo decennio, dei presupposti per l’attuazione di una lotta armata strada per strada. Quell’ultima opera di Engels, considerata fortemente stimolante dalla socialdemocrazia e molto più tardi dal movimento comunista, era vista dalla Luxemburg come una delle fonti cui addebitare la bancarotta della Spd.
E’ però noto che su alcuni problemi di principio Lenin e Rosa avevano posizioni differenti. E se va rilevato che le opinioni della seconda a proposito della questione nazionale e di quella contadina sono superate, la sua concezione della democrazia resta ancora oggi una possibile fonte di ispirazione, soprattutto per i partiti comunisti al governo. Nella sua cella nella prigione di Breslavia la Luxemburg scrisse il saggio La rivoluzione russa, nel quale confutò l’obiezione secondo cui la Russia fosse matura soltanto per la rivoluzione borghese apprezzando in sommo grado l’orientamento dei bolscevichi a favore della rivoluzione proletaria mondiale, ma nel contempo ritenendo necessario porsi criticamente nei confronti del loro modo di procedere, nel quale pure vedeva “il migliore insegnamento per gli operai sia tedeschi che internazionali in vista dei compiti che la presente situazione prepara”.
L’autrice del saggio criticava i bolscevichi soprattutto in relazione al soffocamento della democrazia. E la sua critica non concerneva soltanto singoli atti, ma si muoveva sul piano dei principi generali. Il capitolo del suo saggio dedicato a questo tema è rimasto, per lunghi decenni, l’unico luogo del pensiero comunista che mette in luce gli scogli della violenza rivoluzionaria ed esalta la necessità di una normale e corretta evoluzione di una società socialista.
«Sicuramente ogni istituzione democratica ha i suoi limiti e i suoi difetti, come tutte le umane istituzioni umane. Ma il rimedio trovato da Lenin e da Trockij, la soppressione cioè della democrazia in generale, è ancora peggiore del male; esso ostruisce infatti proprio la fonte viva dalla quale soltanto possono venire le correzioni a ogni insufficienza congenita delle istituzioni sociali: la vita politica attiva, libera ed energica delle più vaste masse popolari». Appunto per questo Luxemburg sottolineava la necessità della libertà di stampa, di associazione, di riunione e rilevava che il soffocamento della democrazia suscita il pericolo della burocratizzazione. «La vita pubblica cade lentamente in letargo, qualche dozzina di capi di partito dotati di energia instancabile e di illuminato idealismo dirigono e governano. Tra loro comanda in realtà una dozzina di menti superiori e una élite della massa operaia viene, di quando in quando, convocata a riunioni per applaudire discorsi dei capi e per votare all’unanimità le risoluzioni che le vengono proposte. In fondo, si tratta quindi del governo di una cricca, è una dittatura, ma non del proletariato, bensì di un pugno di uomini politici cioè una dittatura con un chiaro senso borghese giacobino».
Tra i comunisti era forte all’epoca la coscienza di essere gli alfieri della tradizione giacobina. Rosa Luxemburg, per contro poneva l’accento su quei momenti del giacobinismo che i rivoluzionari avrebbero dovuto evitare. Innanzitutto il terrore, la cui necessità invece, era sottolineata dai bolscevichi. «Il terrore dei giacobini in Francia – scrisse – non fu altro che un tentativo disperato di radicalismo da piccoli borghesi, per conquistare e conservare il proprio dominio sulla Francia in un momento nel quale in tutta Europa si affermava per la prima volta il dominio della grande borghesia». E altrove: «La rivoluzione proletaria non ha bisogno del terrore per raggiungere i propri obiettivi, odia e ha ribrezzo delle uccisioni di persone». Rosa Luxemburg si differenziava inoltre da Lenin per il ruolo diverso che nella gerarchia dei valori attribuiva alla democrazia e a ciò si doveva il loro diverso atteggiamento nei confronti dell’insurrezione armata. Ambedue la consideravano una strada inevitabile per giungere alla conquista del potere da parte della classe operaia. Mentre però i bolscevichi ritenevano sufficiente, per l’avvio della rivoluzione, poter disporre della maggioranza del proletariato nel momento determinato e nei centri decisivi, Luxemburg considerava insufficiente tale presupposto. «La Lega Spartaco – scrisse – non prenderà mai il potere altrimenti che sulla base della volontà chiara e univoca della grande maggioranza della massa proletaria della Germania, e non agirà che sulla base del cosciente consenso di questa con le idee, gli obiettivi e i metodi della Lega Spartaco».
A questa diversità di approcci si doveva inoltre il differente atteggiamento dei due teorici rispetto al problema dell’insurrezione armata. Lenin poneva l’accento su questo momento della conquista del potere, Luxemburg ne parlava il meno possibile. I bolscevichi ritenevano fosse loro compito fissare l’inizio dell’insurrezione ed eventualmente il momento del ritiro dalle strade degli operai in armi. L’incomprensione di questo passaggio portò così gli spartachisti a subire tutta una serie di sconfitte negli scontri armati spontanei.
La differenziazione tra leninismo e luxemburghlsmo si manifestò, inoltre, a proposito della costituzione del Partito comunista di Germania e della fondazione della Terza Internazionale. Dal canto loro i bolscevichi auspicavano che si giungesse quanto più rapidamente possibile alla scissione del partiti socialdemocratici, per contro Rosa Luxemburg non intendeva arrivare alla formazione di un partito comunista prima di aver esteso la sua influenza alla maggioranza degli operai rivoluzionari. Non era d’accordo, poi, che l’Internazionale comunista nascesse prima che nella maggioranza dei paesi decisivi si fossero costituiti partiti comunisti di massa. Come i bolscevichi, anche gli spartachisti ritenevano che nella nuova organizzazione internazionale i singoli partiti dovessero sottostare a una disciplina internazionale. Ma Luxemburg non intendeva quella disciplina come diritto dell’esecutivo dell’Internazionale comunista a intervenire anche nelle questioni organizzative dei diversi partiti.
Con la morte di Rosa Luxemburg scomparve l’ideatrice di una dottrina che pure si è già detto fu alla culla della nascente Internazionale comunista, come alleata e insieme come antagonista del bolscevismo. L’esperienza degli anni successivi alla prima guerra mondiale e la riflessione sulla stessa permisero di superare i tratti utopistici del luxemburghismo: la concezione fatalistica della rivoluzione, il culto delle masse e la connessa fiducia nell’istinto di classe di queste che aveva quasi un carattere mistico. Nello stesso tempo, comunque nel movimento comunista finirono per essere respinte o dimenticate quelle idee della rivoluzionaria tedesca di origine polacca che avrebbero potuto rappresentare un correttivo alle ambizioni rivoluzionarie del bolscevismo, innanzitutto la convinzione che il socialismo deve dar vita a un tipo superiore di democrazia.
MILOS HAJEK
articolo pubblicato su “l’Unità” il 15 ottobre 1989
Tratto dal Dipartimento Formazione del Partito della Rifondazione Comunista