A piedi, su carretti stracarichi di quello che si spera possa servire ad affrontare una nuova fuga dalla guerra. Chiamarla emergenza sfollati non basta: negli ultimi otto anni la Siria ha perso cinque milioni di persone, rifugiate all’estero, altri sette milioni gli sfollati interni.
A Rojava stavano tornando dopo la liberazione delle comunità settentrionali dall’occupazione islamista. Ora scappano di nuovo. Secondo l’Onu sono 160mila gli sfollati, numero che cresce a ritmi spaventosi. Secondo l’Amministrazione autonoma sono molti di più: almeno 200mila.
«Tutte le città lungo il confine sono state colpite da pesanti bombardamenti – ci dicono gli attivisti del Rojava Information Center (Ric) – La situazione peggiore è nelle città e le periferie di Tal Abyad e Sere Kaniye, dove ai raid aerei si aggiungono i combattimenti terrestri. È da qui che arriva la maggior parte degli sfollati, diretti verso sud, verso Hasakeh and Raqqa».
Non solo curdi, a dimostrazione della ricchezza multietnica di Rojava e dell’intera Siria: «Una varietà di comunità etniche e religiose sta subendo la stessa sorte. Curdi, arabi, musulmani, cristiani».
Scappano il più possibile lontano dal confine: «A Tel Temer e nei villaggi intorno – continua Rci – sono arrivate 1.300 famiglie. Vediamo persone rifugiarsi in scuole abbandonate, stazioni di benzina, ospiti di altre famiglie. Ma è la città di Hasakeh quella che sta accogliendo il numero maggiore di sfollati, 100mila persone, la metà del totale. La situazione è pessima. Buona parte della città non ha più accesso all’acqua e cibo e medicinali non sono sufficienti. Molte ong hanno lasciato il nord della Siria o hanno ridotto lo staff».
Raggiungiamo al telefono Cecilia domenica pomeriggio mentre arrivano le prime notizie di un bombardamento turco a Sere Kaniye contro un convoglio di civili in fuga. Il bilancio finale sarà di 11 morti e 73 feriti; tra le vittime un giovane giornalista curdo, Seed Ehmed, corrispondente di Hawar News.
Cecilia è volontaria di Heyva Sor a Kurd (Mezzaluna rossa curda, in Italia ha lanciato una raccolta fondi su buonacausa.org/cause/emergenza), che si occupa a Rojava di assistenza sanitaria: «Per gli sfollati il confine iracheno sta diventando un problema: le autorità del Kurdistan iracheno fanno passare solo chi ha già la residenza o chi attesta di avere una parte della famiglia nella regione – ci spiega – Dunque chi non va a gravare come sfollato o rifugiato, ma ha già appoggi interni. Ad Aleppo è impossibile andare: sono in corso scontri, spostarsi in quella direzione sarebbe un massacro. Inoltre molti viaggiano a piedi e molti altri vogliono restare dentro i territori controllati dalle forze curdo-arabe».
«L’Unhcr si occupa delle tende attraverso le organizzazioni sul campo. Heyva Sor si occupa della parte sanitaria con unità mobili di primo soccorso, rifornimenti di medicine e vitamine e sta attrezzando strutture per l’accoglienza».
CHIARA CRUCIATI