L'”enigma Robespierre” è il cuore di una indagine storiografica che ha attraversato ormai i secoli.
Quando qualche studioso si accinge ad affrontare la biografia e la vita politica dell’Incorruttibile, inevitabilmente incespica sulle tante sfaccettature che quel giovane trentenne mostrava mentre era alla guida della Francia rivoluzionaria, nel breve tempo in cui fu il riferimento anche morale per la Convenzione e per il governo rappresentato dal Comitato di Salute Pubblica.
Robespierre viene impietosamente associato quasi esclusivamente alle esecuzioni terroriste, alle carrette di prigionieri nemici della Nazione, a quelle che conducevano al patibolo gli oppositori politici e, così, se ne dimentica volutamente l’importanza che ebbe nel traghettare il processo di epocale cambiamento da semplice sostituzione istituzionale di apparati governativi sotto la guida del re, nella preservazione comunque della monarchia (come auspicava la Gironda), a rovesciamento dell’ordine costituito.
Per lui, e per il Club di giacobini, non si tratta più di riformare l’Ancien Régime, ma di rovesciarlo definitivamente. Se persino Danton, a differenza di Marat, esita, Robespierre si convince della necessità del sovvertimento, del capovolgimento istituzionale, politico, sociale e persino in parte economico, che la Francia necessita per divenire una “nuova Francia” e lasciarsi dietro il regime corrotto del privilegio aristrocratico ed ecclesiastico.
Henri Guillemin, nel suo “Robespierre, politico e mistico” (Garzanti, collezione storica, 1987), pone l’accento sull’avvocato di provincia che diventa deputato agli Stati Generali e che, nella gelosa intimità delle proprie iniziali convinzioni illuministiche, non disdegna di mostrare anche una qualche vicinanza ad un credo religioso molto mediocremente cattolico, molto poco praticante, quasi esclusivamente ispirato da una necessità di natura degli esseri umani al volgersi al cielo, al raccomandarsi a quell'”Essere supremo” che diverrà il dio nuovo del processo rivoluzionario.
Ma Guillemin, che ha raccolto innumerevoli fonti a supporto delle sue tesi, è soprattutto attento a non spersonalizzare il Robespierre politico dal suo ruolo primario nella partecipazione alla navigazione della barca della Rivoluzione: se è vero che l’Incorruttibile è stato risolutamente contrario alle estremistiche propensioni ad una feroce scristianizzazione della Francia, è altrettanto vero che l’istituzione cattolica, il potere della Chiesa sono, e non possono del resto non essere, per lui e per milioni di francesi, una delle immagini più chiare della tirannia messa da parte il 10 agosto 1792.
Per quanto la storiografia, almeno una certa parte di essa, abbia tentato di addossare a Robespierre tutte le colpe della torsione terrorista della politica del Comitato di Salute Pubblica tra il 1793 e il 1794, c’è un concorso di responsabilità che non è nemmeno attribuibile soltanto ai leader giacobini del momento. L’attacco delle monarchie europee alla giovane Repubblica francese impone una determinazione senza pari: rende necessario fare strame di ogni minaccia interna e, quindi, mettere da parte ogni indulgenza, ogni tolleranza.
Ne va della sopravvivenza della nuova Francia che, altrimenti, rischierebbe di precipitare in una guerra civile da nord a sud, probabilmente peggiore di quella vandeana repressa dalle armate della Convenzione nazionale. Guillemin, in questo preciso contesto, colloca un misticismo robespierrista che affida la propria politica al culto laico della virtù, di un principio di morale che fa dell’essere umano un cittadino nel momento in cui decide di mettersi al servizio del bene comune e di rappresentare i diritti dei più deboli, di coloro che fino a pochi anni prima erano trattati da sudditi e mangiavano una volta ogni tre giorni.
La Francia giacobina non se la passa bene e, almeno in apparenza, tra guerra esterna e interna, ci sarebbe poco spazio per pensare anche alla religiosità del popolo, alla sua fede oltre la fede nella Rivoluzione. E’ evidente che il fondamento di tutto risiede nella fondazione di una nuova società che non fa più riferimento al re che regna per la sola grazia di dio. La repubblica è del popolo. Per antonomasia, per definizione. E non può, quindi, riconoscersi nelle mitologie e nelle credenze del passato, ma deve reinventarsi anche su questo piano.
Robespierre – scrive Guillemin – non è quel “mistico assassino” che Aulard tratteggia: «Eh sì, è innegabile, Robespierre ha fatto uccidere delle persone; è responsabile (non da solo, ma lo è) di numerosi morti. Questo omino che si è affacciato solo per un momento alla storia di Francia, vi ha lasciato un indelebile traccia di sangue, una cicatrice, e insieme un punto di domanda». Un interrogativo che soverchia ogni altro dubbio, perché è il primus inter pares dei misteri che la storia ci ha messo davanti: come si può arrivare a quella che Norman Hampson definiva “una visione coerente” su e di Robespierre?
E’ possibile tratteggiarne la personalità senza offuscare la ricerca e le eventuali conclusioni (che nessuno fino ad oggi è riuscito a trarre) con giudizi moralistici, con condanne storiche e con anatemi persino politici? Probabilmente no, perché gli ultimi mesi del governo robespierrista (e di quello che uno storico tanto apprezzato a destra come Pierre Gaxotte chiamerà il “terrore comunista“, attribuendo al giacobinismo una specie di spirito livellatore che non intendeva affatto avere) sono lo stigma totalizzante, soverchiante, che cancella ogni altra azione dell’avvocato di Arras.
A Danton si perdonano i traffici poco chiari, le ricchezze cumulate nel corso della sua breve carriera politica, poiché alla fine è uno di quei figli mangiati dal Saturno rivoluzionario, inghiottiti come la Gironda brissottina, l’estremismo hebertista, i trafficanti della Compagnia delle Indie orientali e tutti quei preti di campagna che, refrattari o no, finiscono per essere bollati di propaganda antirivoluzionaria e finiscono decapitati dalle ghigliottine sparse per la Nazione.
Laddove i commissari del Comitato di Salute Pubblica sono incaricati di ristabilire l’ordine e quei “principi di morale politica“, parte del programma robespierrista per la guida del paese, la repressione del ribellismo monarchico e clericale si accompagna alla diffusione di qualcosa che ormai ha superato la “Costituzione civile del clero“. Il governo rivoluzionario, tanto quanto lo stesso Incorruttibile, non mira ad una onnipotenza politica: è ancora in una fase difensiva, deve mantenersi per potersi consolidare.
Guillemin richiama più volte l’empatia che unisce i vasti strati popolari alla politica giacobina: quella che, nel momento estremo di crisi economica, introduce un “maximum” difficilissimo da applicare. Persino nella grandezza della capitale che è, in questo senso, un prospetto in miniatura della Francia intera. La miseria sopravanza la giustizia rivoluzionaria, la guerra delle teste coronate contro la Repubblica è tutt’altro che vinta e le sommosse in tante parti del paese non accennano a diminuire.
Il misticismo di Robespierre è, in questo turbolento lustro di storia d’oltralpe, un connubio tra laicità della virtù politica e sociale e slancio ultraterreno verso un dio non rivelato, che esce dal Cristianesimo, che diventa culto altro per necessità, per affidamento veramente oppiaceo ad una speranza panteistica in cui la sopravvivenza della Rivoluzione è volontà dell’Essere supremo.
Sono gli ultimi giorni di un giacobinismo che viene travolto dalla reazione borghese, da una insofferenza del ceto medio che sfrutta il malumore popolare per l’infittirsi delle esecuzioni, per il sospetto come regola di polizia e di conservazione dell’ordine, della minaccia che incombe su tutti. Quando nessuno si sente più al sicuro, tutti, trasversalmente per quanto riguarda i rapporti di classe, si uniscono nell’eliminazione dell’ombra della lama della ghigliottina che incombe, che non lascia dormire sonni tranquilli, che non risolve – del resto – i problemi della Francia in quel momento.
Robespierre, però, è e rimane l’anima di una rivoluzione che, per un attimo, riesce a mostrarsi come grande fenomeno etico, politico e sociale al tempo stesso. I suoi discorsi alla Convenzione, ripetuti nei club di tutta la Francia, sono una sottolineatura tanto dell’Illuminismo (ampiamente già diffuso in Francia tra le classi agiate, prima ancora che tra il popolo, avanti il 1789, regnante ancora Luigi XV) quanto di una nuova interpretazione dei valori moderni di uguaglianza e libertà affidati comunque alla divinità della Ragione.
Robespierre è credente, ma lo è nella misura in cui tutto il suo mondo capovolto, la sua idea di fratellanza universale, di repubblica mondiale, di fine della schiavitù dei neri nelle colonie francesi d’oltreoceano e di uguaglianza sociale collima, combacia e si sincretizza con il bisogno più che altro proletario di avere una speranza in più rispetto alla cruda realtà dei fatti, alla terribile sopravvivenza in cui la gente comune aveva dovuto dimenarsi fino alla Presa della Bastiglia.
Il ritratto che Guillemin fa del capo dei giacobini è sempre nuovo se lo si paragona ai tentativi denigratori o a quelli troppo agiografici fatti dalle parti opposte della storiografia sia francese sia europea. Propende per una difesa delle azioni di Robespierre, legandone le responsabilità alla contingenza stringente dei fatti che si susseguono e della rapidità delle decisioni da prendere per salvare la Francia da una nuova ondata reazionaria, per rendere irreversibili le conquiste dalla Rivoluzione. Da Parigi a tutto il resto del Vecchio mondo.
Ma è tutt’altro che distaccato dal prendere in considerazione una assoluzione preconcetta del Terrore. Questo fa della biografia di Guillemin uno studio diverso dagli altri, uno speciale punto di vista fondato su una particolare ricerca storiografica condotta con dovizia, con grande meticolosità e che, quindi, è utile conoscere per scartare il pressapochismo delle banalizzazioni sul Robespierre sanguinario da un lato o su quello privo di qualunque responsabilità dall’altro.
ROBESPIERRE, POLITICO E MISTICO
HENRI GUILLEMIN
GARZANTI, COLLEZIONE STORICA
MARCO SFERINI
14 dicembre 2022
foto: particolare della copertina del libro