Qualche ragione Giovanni Floris la ha: i politici quarantenni che abbiamo oggi sulla scena non sono così “maturi” come quelli d’un tempo. E non parlo di un Danton o di un Robespierre che a 30 anni erano già a capo di una nazione rivoluzionaria o di un Ottaviano Augusto, per andare ancora più indietro nei secoli, che a soli 18 anni aveva sotto il suo comando le legioni macedoni fedeli al suo divino padre Giulio Cesare (fedeltà comperata con i soldi del medesimo… ma abilità politica, comunque, non interpretabile).
Basta osservare, con il distacco ovvio e necessario, le abilità dialettiche e politiche di un Massimo D’Alema e persino di Ciriaco De Mita che solo gli ultraquarantenni come me ricordano nei meandri governativi sotto l’emblema dello scudo crociato.
Sta di fatto che la nuova presunta “classe dirigente” del Paese non ce la fa da sola e allora rieccoli spuntare coloro che sembravano “rottamati” o confinati nella dicitura quasi infamante della inesistente “prima Repubblica” (visto che la seconda non è mai stata proclamata).
Ma non sono retrovie pronte a combattere per le avanguardie incapaci: sono dei padri pronti a sostituire i figli…
Nel nome del pubblico interesse…
(m.s.)
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