Respect. Rispetto.
Così si chiamava una coalizione di sinistra di alternativa.
Il rispetto non è autoritarismo, dominazione, imposizione, dito puntato contro qualcuno per accusarlo di essere “irrispettoso”.
Il rispetto è spontaneità, è libertario per natura, è anarchico o non è.
Il rispetto è partecipazione all’armonia di una, per ora, improbabile (ma non impossibile) vita umana globale.
Il rispetto è l’equilibrio su cui poggia la libertà dei rapporti personali con quelli personali di altri.
Liberiamoci dalla libertà come feticcio da invocare ed esibire a sé stante.
Cerchiamo invece di realizzarla attraverso il rispetto che è svincolo dalla schiavitù tra capitale e lavoro, slacciamento dei rapporti di dipendenza di qualunque tipo, emancipazione personale nel contesto sociale.
Il rispetto è libertario e per questo è anche costituzionale: costituente dell’individuo nel suo essere cittadino (giacobinamente inteso).
Il rispetto è verità: ogni parola rispettata è un significante che ha un significato in sé stessa e che non assume le ambigue e perfette fattezze dell’ipocrisia di una inflazione delle dicerie, così amplificate da tante bocche “tanto per dire”, per inserirsi nel contesto del coro e sentirsi meno soli.
Il rispetto manca. E’ assente dalle nostre vite. La pre-potenza ci anima, ci gestisce, ci ispira e ci maledice: dice male di noi che vorremmo in buona fede (santa, rara buona fede!) vivere senza far del male, ed invece ne facciamo. Anche, soprattutto inconsapevolmente.
Manca il rispetto perché manca la coscienza sociale, critica: quella che ti fa pensare e non semplicemente contemplare il mondo aspettando che qualche demiurgo arrivi e gestisca il tutto dall’alto.
Il rispetto manca e riconquistarlo a noi stessi è gesto rivoluzionario.
(m.s.)
foto tratta da Pixabay